LA BACIA-PANTOFOLE MELONI STASERA PARTECIPERÀ AL GIURAMENTO DI TRUMP: SARÀ L’UNICA LEADER EUROPEA, CIRCONDATA DAI NUOVI OLIGARCHI DELLA TECNO-DESTRA E DAI NEONAZISTI DI AFD
“I AM GIORGIA” SOGNA DI ESSERE IL “PONTE” TRA L’UE E GLI STATES MA IL RISCHIO È DI RITROVARSI CON IL TYCOON MENTRE FIRMA I DAZI CONTRO L’EUROPA
Tre finestre possibili. La più probabile è al termine della cerimonia di oggi al Campidoglio: dopo aver pronunciato la formula di rito che lo incoronerà presidente degli Stati Uniti, Donald Trump dovrebbe conversare per qualche minuto con Giorgia Meloni. Un colloquio rapido, ma necessario per trasformare il viaggio in qualcosa di più di un semplice omaggio, inusuale e al limite dell’azzardo.
Meglio ancora sarebbe ritrovarsi con il tycoon alla festa della Capitol Arena (ma sono attesi migliaia di ospiti, il caos non si sposa con l’obiettivo) o quando il leader firmerà i primi ordini esecutivi alla Casa Bianca. Fonti americane dicono che Elon Musk potrebbe fare il miracolo, ma i tempi sembrano strettissimi, i margini ridotti: l’opzione più quotata è dunque quella di un faccia a faccia a margine del giuramento.
È la vera incognita del viaggio. La distanza che separa un semplice atto di presenza da un presunto successo diplomatico. Quanto più durerà il contatto, il primo concesso a un big europeo, tanto più Meloni potrà vantare un risultato. Ufficialmente viene diffusa a piene mani sobrietà: il segnale è già condensato nella missione lampo. In più, fanno sapere dal suo staff, la premier dovrebbe sedere tra le prime file, ulteriore segnale di attenzione da parte del presidente.
Della missione la leader ha discusso con Ursula von der Leyen al telefono, nei giorni scorsi. Non per chiedere il “permesso” . Semmai per evitare frizioni o incomprensioni: è cosa nota che a Bruxelles la mossa ha spiazzato. Il confronto è servito a condividere una preoccupazione, forse la principale in queste ore: i dazi.
È lo spettro che tiene tutti con il fiato sospeso. È in allerta anche la premier. Il timore è che Trump firmi nelle ore o nei giorni immediatamente successivi un ordine esecutivo per imporre ai partner dell’Unione una pesante tassazione sulle esportazioni.
Sarebbe fastidioso, per Meloni. Seduta lì in platea, senza poter reagire a un colpo durissimo per le imprese italiane ed europee.
Ripartirà per l’Italia stasera. Convinta di aver portato a casa un risultato, lo stesso indicato in privato nei giorni scorsi: «Qualcuno deve parlarci, con Trump». C’è voglia di ammortizzare i rischi per l’Italia e speranza di lucrare anche nel consenso da questo posizionamento.
Con questo spirito ha sfidato il dettato diplomatico, che gli sconsigliava di venire. Ma se von der Leyen stenta a relazionarsi con il repubblicano, Macron è debole e in Germania c’è un vuoto di potere che durerà almeno fino a maggio — è stato il ragionamento — allora è giusto rischiare.
Anche per sbrogliare altri enormi nodi irrisolti: le spese militari al 5% del Pil, la guerra in Ucraina e Medio Oriente che potrebbero chiudersi danneggiando l’Europa
Certo, la presidente del Consiglio sa che arriverà il momento di dover scegliere: se Trump vuole davvero far saltare l’Unione, anche l’Italia sarà costretta a schierarsi.
(da La Repubblica)
Leave a Reply