LA CASSA È VUOTA MA UN MODO PER VARARE UNA MANCETTA ELETTORALE SI TROVA SEMPRE
GIORGIA MELONI È STATA CATEGORICA: PRIMA DELLE EUROPEE DEVE ARRIVARE IL BONUS TREDICISIME. ANCHE UNA TANTUM, ANCHE A UNA PICCOLA PLATEA DI BENEFICIARI. E COSÌ ARRIVA L’IDEONA: ANNUNCIARLO SUBITO E FARLO ARRIVARE IL PROSSIMO ANNO CON UN AZZARDO CONTABILE
Giorgia Meloni ha fatto arrivare al Tesoro un messaggio indiscutibile: provateci, fino all’ultimo minuto utile. Anche a costo di dover intervenire in extremis, durante il Consiglio dei ministri che presiederà martedì mattina a Palazzo Chigi, dopo l’incontro di domani con i sindacati.
Alla premier come arrivare al risultato importa poco. Quello che conta è trovare la copertura per finanziare il “bonus tredicesima”, l’obolo elettorale che può assicurarle voti preziosi tra poco più di un mese, quando dovrà misurarsi con le urne. Ci conta, la premier. Spera e preme. Perché, secondo il ragionamento all’interno di Fratelli d’Italia, “i voti non si prendono con il Pnrr, arrivano se dai qualcosa a chi ci ha portato al governo”.
Quel qualcosa è il bonus. Anche una tantum. Anche a una platea ridotta di beneficiari. Qualcosa che dia il senso di una politica in movimento
L’alibi del Superbonus che prosciuga i conti pubblici non basta per giustificare il passo che si è fatto troppo lento dopo appena un anno e mezzo alla guida del Paese. Ma soldi non ce ne sono, anzi da qui a ottobre vanno trovati 20 miliardi per presentare una manovra risicata a “politiche invariate”, dal taglio del cuneo fiscale al “ritocco” all’Irpef, in scadenza a fine anno.
Guardando all’estate, periodo in cui bisognerà iniziare a impostare una correzione dei conti che potrebbe arrivare a costare fino a 13 miliardi ogni anno per i prossimi sette. Un dato di realtà che al ministero dell’Economia è ben impresso nelle convinzioni del titolare Giancarlo Giorgetti. L’andamento della “caccia” ai soldi per “il bonus tredicesima” conferma che la salita è appena iniziata: a ieri sera le risorse per il regalo di Natale non erano state trovate. E non è detto che si troveranno entro martedì, quando sul tavolo del Cdm arriverà l’ennesimo decreto legislativo per l’attuazione della riforma fiscale, il contenitore del bonus.
Ecco perché nelle ultime ore a Palazzo Chigi è stato messo in conto un “piano B”: trasformare il bonus di dicembre in un segnale da far scattare il prossimo anno. Una promessa da annunciare subito. Per non cestinare l’effetto “acchiappa-voti”. E per non sconfessare le convinzioni di qualche giorno fa, quando il decreto è stato cancellato all’ultimo minuto dall’ordine del giorno del Cdm.
Fonti di governo si erano affrettate a gettare acqua sul fuoco, parlando di uno slittamento alla riunione del 30 aprile. Ma “il regalo” per il 2025 sarebbe un azzardo contabile: l’impegno potrebbe contare solo sulla promessa di caricare il bonus o un’altra misura sul bilancio dell’anno prossimo.
I conti, però, li fa il Mef. La decisione sul bonus sarà presa nelle prossime ore. Tanto che ieri mattina la premier ha mandato avanti il fedelissimo viceministro all’Economia Maurizio Leo a dire che l’inserimento o meno del bonus nel decreto dipende dalle coperture. A specificare che il provvedimento, che contiene anche altre norme in materia di Irpef e Ires, arriverà comunque al Cdm, ma lasciando in stand-by il nodo tredicesime.
Ai tecnici del ministero dell’Economia è stato chiesto di recuperare 100 milioni, anche qualcosa meno se alla fine dovesse prevalere l’obiettivo della convenienza. E cioè che è comunque meglio dare un piccolo segnale piuttosto che niente.
Per questo al Tesoro si lavora anche a un bonus più “povero” rispetto a quello pensato la settimana scorsa per i lavoratori dipendenti con redditi fino a 28 mila euro, sposati e con almeno un figlio.
Tra le versioni della norma all’esame della Ragioneria c’è anche una che non contiene il requisito del matrimonio. Il pilastro è il figlio a carico. Quello sì inderogabile per la premier. A meno che alla fine non si scelga di rinviare tutto all’anno prossimo, puntando solo sull’annuncio. Ecco l’affanno. Il passo è lento. Una retromarcia o quasi.
(da La Repubblica)
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