LA CRISI HA SPENTO LE BOTTEGHE: SPARITI ARMATORI, MAGLIAI E RIPARATORI DI AUDIO-VIDEO
NEL 2015 HANNO CHIUSO 22.000 IMPRESE.. LE PROFESSIONI CHE HANNO SOFFERTO DI PIU’ IL CALO DEI CONSUMI, LE NUOVE TECNOLOGIE E IL PESO DEL FISCO
La ripartenza dell’economia italiana rallenta e quel poco di crescita alla quale si aggrappa il Paese non è distribuito in modo omogeneo.
I dati dell’Istat ci hanno appena mostrato la frenata nel processo di espansione del Pil, che nell’intero 2015 dovrebbe aver messo insieme una crescita dello 0,7%, sotto le attese.
La produzione industriale di dicembre ha segnato una battuta d’arresto, confermato la crescita annua ma anche rilevato la concentrazione dei segnali positivi in pochi settori: è emblematico il caso dell’automobile, che da sola spiega una gran fetta della ripresa.
Già l’Ufficio parlamentare di bilancio, in una diagnosi di qualche mese fa, parlava di una “ripresa poco diffusa” e ancora poco in grado di creare posti di lavoro.
Oggi sono i dati della Cgia a mostrare come gli anni della crisi economica, insieme all’evoluzione di consumi e tecnologie, abbiano contribuito a cambiare la mappa delle professioni italiane, con alcune vittime illustri.
Gli artigiani di Mestre sottolineano in particolare le difficoltà del loro mondo, l’artigianato: “Anche nell’ultimo anno le imprese attive sono diminuite di 21.780 unità , mentre dall’inizio della crisi (2009) il numero complessivo è crollato di 116 mila attività . Al 31 dicembre 2015 il numero complessivo delle aziende artigiane presenti in Italia è sceso sotto quota 1.350.000”, scrivono in una nota.
Per il responsabile dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo, “l’artigianato è l’unica categoria economica che continua a registrare un netto calo delle imprese attive; infatti, guardando alle imprese non artigiane solo l’agricoltura e l’estrazione di minerali evidenziano una flessione nell’ultimo anno”.
Secondo l’analisi dell’associazione, oltre all’avanzata tecnologica hanno pesato il calo dei consumi, le tasse e gli affitti che hanno messo fuori mercato molti artigiani.
“C’è anche un aspetto sociale molto preoccupante da tenere in considerazione”, spiega ancora Zabeo. “Quando chiude definitivamente la saracinesca una bottega artigiana, la qualità della vita di quel quartiere peggiora notevolmente. C’è meno sicurezza, più degrado e il rischio di un concreto impoverimento del tessuto sociale”.
In valore assoluto, l’edilizia (-65.455 imprese) e i trasporti (-16.699) sono le categorie artigiane che hanno risentito maggiormente degli effetti negativi della crisi. In sofferenza anche le attività manifatturiere, in particolar modo le imprese metalmeccaniche (-12.556 per i prodotti in metallo e -4.125 per i macchinari) e gli artigiani del legno (-8.076 che diventano -11.692 considerando anche i produttori di mobili).
Per contro, invece, parrucchiere ed estetiste (+2.180), gelaterie-rosticcerie-ambulanti del cibo da strada (+ 3.290) e le imprese di pulizia e di giardinaggio (+ 11.370) sono aumentate di numero.
A livello territoriale sono state le regioni del Sud ad aver “patito” le difficoltà maggiori: Sardegna (-14,1 per cento), Abruzzo (-12 per cento) e Basilicata/Sicilia (entrambe con -11,1 per cento) hanno subito le contrazioni più importanti. In questi ultimi 6 anni nessuna delle 20 regioni italiane ha fatto segnare una variazione positiva e, anche nell’ultimo anno, il segno meno compare per tutte le regioni.
Nell’analisi della Cgia spicca anche la graduatoria dei mestieri artigiani che hanno sofferto maggiormente la crisi. Tra il 2009 e il 2015 le professioni che hanno subito la riduzione del numero di iscritti più importante sono stati i piccoli armatori (-35,5 per cento), i magliai (-33,1 per cento), i riparatori audio/video (-29,4%), i lustrini di mobili (-28,6 per cento), i produttori di poltrone e divani (-28,4 per cento), i pellicciai (-26 per cento), i corniciai (-25,7 per cento), gli impagliatori (-25,2 per cento), i produttori di sedie (-25,1 per cento), i camionisti (-23,7 per cento) e i falegnami (-23,2 per cento).
Alcune di queste attività sono così poco numerose che nel giro di una dozzina di anni rischiano di sparire.
(da agenzie)
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