LA DESTRA SI RIUNISCE (DAVANTI AL GIUDICE): QUANTI GUAI CON LA GIUSTIZIA PER GLI EX AN
MATTEOLI INQUISITO PER CORRUZIONE, GASPARRI IMPUTATO PER PECULATO, ALEMANNO A RISCHIO PROCESSO PER FINANZIAMENTO ILLECITO, ALTRI EX CON PROBLEMI GIUDIZIARI….COSI’ E’ FINITA LA DIVERSITA’ MORALE CHE ERA UN ORGOGLIO AI TEMPI DEL MSI
“L’Italia onesta in piazza con la Destra”, “Tangentocrazia, ti spazzeremo via”.
Sabato 17 ottobre 1992 il Movimento sociale italiano sfilava per il centro della capitale: oltre 50 mila neofascisti (definizione rivendicata con orgoglio, anche se ancora per poco) che manifestavano in guanti bianchi a sostegno di Mani pulite.
Contro i partiti corrotti ma anche per simboleggiare, proprio attraverso quei guanti bianchi, la diversità di un partito non toccato dagli accertamenti della magistratura.
Per una serie di coincidenze, unica ma significativa, a poco più di vent’anni di distanza alcuni dei principali protagonisti di quel corteo sono inquisiti contemporaneamente.
Col paradosso che la diaspora degli ex An, divisi in quattro partiti, sembra riunita proprio dalle inchieste dei pm.
VOLEVAMO I COLONNELLI
L’ultimo è l’ex ministro Altero Matteoli, all’epoca già parlamentare missino da una decina d’anni e oggi berlusconiano convinto.
La Procura di Venezia ha inviato al Senato la richiesta di autorizzazione a procedere nell’ambito dell’inchiesta sul Mose.
Corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, il reato ipotizzato: Matteoli avrebbe ricevuto complessivamente 550 mila euro in contanti per favorire l’assegnazione al Consorzio Venezia Nuova e alle imprese consorziate i finanziamenti per la bonifica dei siti industriali di Marghera.
Nei giorni scorsi la Giunta delle autorizzazioni di Palazzo Madama ha iniziato l’esame della vicenda, che si preannuncia lunga e complessa.
Chissà se finirà come nel 2009, quando Montecitorio negò l’autorizzazione nei suoi confronti per un’indagine che lo vedeva accusato di favoreggiamento: aveva informato il prefetto di Livorno di un’inchiesta che lo riguardava.
Ma Matteoli è solo l’ultimo dei colonnelli di Alleanza nazionale finiti nel mirino della magistratura negli ultimi mesi.
Non se la passa troppo bene nemmeno Maurizio Gasparri, altro ex An rimasto in Forza Italia ( e nel 1992 appena eletto deputato ), dal momento che è sotto processo per peculato: nel 2012, da presidente dei senatori del Pdl, si sarebbe appropriato di 600 mila euro del gruppo per stipulare una polizza vita a lui intestata, indicando i suoi eredi legittimi come beneficiari in caso di morte (la somma è stato poi restituita un anno dopo attraverso due bonifici).
Gasparri ha respinto l’addebito, sostenendo di essersi limitato a tutelare il gruppo parlamentare in previsione di una serie di contenziosi ai quali stava andando incontro. Ma il giudice dell’udienza preliminare non ha ritenuto la motivazione convincente, visto che lo scorso aprile lo ha rinviato a giudizio.
Chi invece un processo lo rischia a breve è un altro federale di peso della Alleanza nazionale che fu: Gianni Alemanno, oggi in Fratelli d’Italia, accusato di finanziamento illecito.
Secondo la Procura di Roma, dietro un falso sondaggio sulla qualità dei servizi scolastici realizzato nel 2010 si sarebbe in realtà nascosta una attività di telemarketing a favore della candidatura di Renata Polverini, nel cui listino era candidata la moglie, Isabella Rauti.
Secondo il gip l’allora sindaco sarebbe stato il regista dell’operazione, avendo di fatto commissionato il sondaggio alla società di consulenza Accenture, che poi a sua volta lo avrebbe pagato con 30 mila euro ricavati da false fatture.
Luogo dell’incontro, ha sostenuto un manager dell’azienda: lo studio di fisioterapista. I pm un mese e mezzo fa hanno chiesto il rinvio a giudizio ma la decisione del gup non è ancora arrivata.
Da un anno si sono invece perse le tracce di un’altra inchiesta che vede l’ex sindaco inquisito, sempre con l’accusa di finanziamento illecito: quella sulle presunte tangenti versate dalla Menarini per la fornitura di 45 filobus.
Indagine divenuta involontariamente trasversale alla diaspora di Alleanza nazionale: oltre ad Alemanno fra gli indagati c’era infatti anche Paolo Di Paolantonio, attualmente capogruppo di Nuovo centrodestra alla Regione Lazio e marito della deputata Barbara Saltamartini, anche lei altra ex An di rito alfaniano.
LO SCUDO MEDIEVALE
“Ma quale immunità parlamentare: il popolo, il popolo deve giudicare” gridavano i giovani missini in quel lontano autunno del ’92.
D’altronde l’abolizione dello scudo giudiziario per gli onorevoli era uno dei cavalli di battaglia del Movimento sociale e dell’Alleanza nazionale dei primi tempi.
«Un privilegio medievale che va abolito» tanto per usare la definizione dell’epoca di Gianfranco Fini. E invece, solo per restare a questa legislatura, il sistema dell’autorizzazione a procedere ha già “salvato” un ex An.
Si tratta di Francesco Proietti Cosimi, stretto collaboratore di Fini dai tempi del Msi e suo segretario particolare dopo la svolta di Fiuggi.
Una fiducia tale da averlo spinto a seguire il leader anche nella disastrosa esperienza di Futuro e libertà .
L’anno scorso la Procura di Roma voleva utilizzare dieci conversazioni telefoniche di Proietti Cosimi in un’inchiesta sul crac della Keis srl, in cui era indagato per bancarotta fraudolenta, emissione di fatture per operazioni inesistenti e finanziamento illecito ai partiti.
Ma prima la Giunta delle autorizzazioni (presieduta da un altro ex colonnello di An, Ignazio La Russa) e poi l’Aula di Montecitorio hanno detto “no”.
Questa la discutibile motivazione: è vero che le intercettazioni erano avvenute fortuitamente sui cellulari della figlia e del nipote, inquisiti prima di lui, ma “ponendo sotto controllo le utenze di suoi strettissimi parenti vi era una certezza quasi assoluta di incorrere in comunicazioni” del deputato.
Di fatto una sorta di estensione dell’immunità parlamentare anche ai familiari.
L’anno precedente era invece toccato ad Amedeo Laboccetta (altro ex Msi-An rimasto in Forza Italia) essere oggetto di una richiesta di autorizzazione a procedere, per una vicenda divenuta celebre per la sua unicità : la perquisizione a casa del re delle slot machine Francesco Corallo nell’inchiesta sui finanziamenti concessi dalla Bpm (148 milioni nel caso in questione).
In quell’occasione Laboccetta sottrasse ai finanzieri un pc portatile sostenendo fosse suo, lasciando i militari stupefatti e impossibilitati a intervenire proprio in virtù dell’immunità parlamentare.
Circostanza che valse al deputato un’accusa di favoreggiamento. La Giunta della Camera intimò all’onorevole di restituire il laptop e prima che l’Aula si esprimesse, il deputato lo consegnò ai pm come forma di “rispetto della decisione” e quale segno di “leale collaborazione”.
Peccato, si scoprì poi, che il pc era stato nel frattempo manomesso e che alcuni file cancellati risultavano irrecuperabili.
Insomma, una casistica dai variegati capi d’imputazione.
In ogni caso guai a parlare di “vendetta e accanimento nei confronti di Alleanza nazionale”, come fece nel 2006 Francesco Storace rivolgendosi al pm Henry John Woodcock : per quelle parole il leader de La Destra la scorsa primavera è stato condannato per diffamazione dal tribunale di Roma.
Paolo Fantauzzi
(da “L’Espresso”)
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