LA FASCINAZIONE ITALIANA PER FIDEL E QUEL GRANDE EQUIVOCO ROMANTICO
DA MINA’ ALLA CARRA’ AL RAPPORTO TRA PCI E CUBA… CONTA PIU’ QUELLO CHE RAPPRESENTA DI QUELLO CHE E’ STATO
Il grande equivoco romantico è che Cuba fosse la trasposizione fisica e geografica di Macondo.
E che Fidel fosse l’incarnazione storica di Aureliano Bendìa, che aveva promosse guerriglie e sommosse a decine, dove la vittoria bastava fosse ideale.
E infatti il luogo e l’eroe di Cent’anni di solitudine avevano fatto del suo autore, il sommo Gabriel Garcia Marquez, l’amico e il garante della purezza di Cuba.
Ancora, infatti, fra i sostenitori del piccolo stato caraibico contro il Golia americano anche in Italia c’erano (o ci sono) molti campioni della cultura e dello spettacolo, prima ancora che dei partiti. Gianni Minà era il totem, diciamo così, attorno a cui ruotavano il filosofo Gianni Vattimo e il maestro Claudio Abbado, il riverito giornalista Alberto Ronchey e l’illuminato editore Giangiacomo Feltrinelli, la popstar Zucchero e la decana dell’entertainment a colori, R affaella Carrà .
E poi ancora Gina Lollobrigida, che all’elogio del rivoluzionario faceva precedere quello delle mani, «così belle», e Carla Fracci, cosciente del regime dittatoriale cubano, e però niente poteva prevalere sulla «grande considerazione che il balletto gode nei paesi socialisti».
E dunque tutti castristi, per ragioni diverse, e con diverse intensità , talvolta rafforzate e altre indebolite dal tempo, dall’annacquarsi dell’utopia, e così anche il più giovane dei castristi, Gennaro Migliore, ora nel Pd, fu visto una sera a Milano ad ascoltare con attenzione Mario Vargas Llosa, Nobel per la letteratura e irriducibile nemico di Garcia Marquez.
È che il rapporto fra il Pci e Cuba non è mai stato semplicissimo: grande attenzione e simpatia all’inizio, poi una certa diffidenza proprio per la natura un po’ eccentrica del comunismo cubano: andarono sull’isola Enrico Berlinguer e Luigi Pintor, Pietro Ingrao e Rossana Rossanda, tornando sempre con più perplessità che entusiasmi.
E lasciando progressivamente il castrismo e il guevarismo alle fascinazioni sessantottine, e poi ai partiti minori della seconda Repubblica, dove si ricorda un «lunga vita, caro comandante», spedito da Fausto Bertinotti a Castro per i suoi ottant’anni nel 2006.
In fondo conta più quello che rappresenta di quello che è stato, purtroppo, così anche oggi non soltanto l’eterno Marco Rizzo, rivalutatore di Stalin, ma pure il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, possono ricordarlo come un liberatore, piuttosto che come un tiranno.
Mattia Feltri
(da “La Stampa”)
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