LA GENOVESE ALICE D’AMATO: “IL MIO ORO E’ PER PAPA’ CHE NON C’E’ PIU’, SAREBBE STATO FELICE”
LA DEDICA ANCHE ALLA SORELLA GEMELLA, BLOCCATA DAGLI INFORTUNI
«Ho gareggiato anche per mia sorella gemella Asia, che si è rotta il crociato e non ha potuto essere qui. Ho gareggiato anche per nostro padre Massimo, che è morto e oggi sarebbe così orgoglioso di noi. Ho gareggiato per me stessa. E non mi pare ancora vero di aver vinto».
Alice D’Amato parla con una vocina flebile e timida. Dimostra molto meno dei suoi ventun anni compiuti il 7 febbraio. «Scusate, ma non mi sembra possibile di avere una medaglia d’oro olimpica al collo». La prima nella storia della ginnastica femminile italiana. L’unica conquistata da un’europea qui alle Olimpiadi di Parigi.
La scena in conferenza stampa è surreale. In mezzo al tavolo c’è Simone Biles: una delle più grandi atlete di tutti i tempi. Simone è una diva, e sa di esserlo. Sbatte le ciglia finte, sorride con i suoi denti bianchissimi, risponde alle domande sempre con le stesse parole: proud, happy, exciting; è orgogliosa, è felice, è esaltata dall’essere qui.
Però Simone è qui da sconfitta. Battuta dalle ragazzine italiane con cui ha un atteggiamento quasi da sorella maggiore: le applaude quando arrivano, aiuta Manila Esposito a sistemare la cuffia per la traduzione, dice di essere «onorata dall’aver gareggiato con queste giovani italiane». Ha gareggiato; e ha perso. Ha spinto in alto l’asticella di tutte, con i suoi coefficienti di difficoltà mostruosi, ha indotto le rivali a mettere sempre più alla prova il loro corpo e la loro anima; in quattro non hanno retto, e dalla trave sono cadute. La quarta era lei, Simone.
Manila Esposito è napoletana, esplosiva, allegra. È a Parigi con la mamma, la nonna e la zia, che le ha regalato una collana portafortuna con i cinque cerchi olimpici. Dice che Manila non è un nome di famiglia, l’ha scelto la mamma perché le piaceva il suono, e con un cognome così diffuso in Campania serviva un nome strano. Il suo è il primo bronzo della ginnastica italiana; molto prezioso per una ragazza che non è ancora maggiorenne, ed è la più giovane della spedizione italiana a Parigi. Però fino a ieri era proprio lei, Manila, l’atleta di punta.
Nella famiglia D’Amato, invece, la più forte era Asia. La sorella gemella di Alice. Si è rotta il crociato tre volte in meno di due anni, l’ultima agli Europei, dopo essere stata operata. Anche ad Alice è successo, anche lei sa cosa vuol dire: il legamento che si spezza, il corpo che cade in modo innaturale, l’urlo di dolore del purosangue ferito.
«Questa ragazza ha una forza morale incredibile», spiega il suo allenatore, Enrico Casella, grande vecchio della ginnastica italiana, già demiurgo di Vanessa Ferrari.
Il padre morto di cancro: «Oggi sarebbe molto felice»
Le chiamano le fate, e ad Alice non dà fastidio: «È un nome che ci è entrato nel cuore. Spero che la mia vittoria porti più attenzione sulla ginnastica, che in Italia è molto trascurata». C’è una foto bellissima che ritrae Alice e Asia bambina sulle spalle di papà. «Papà faceva il vigile del fuoco. È morto di cancro. Penso a lui perché oggi sarebbe molto felice. Mia mamma si chiama Elena e fa la parrucchiera. È rimasta a Genova, mentre noi da bambine ci siamo trasferite a Brescia per migliorare con il nostro maestro Enrico». A che età siete uscite di casa? «A dieci barra undici anni», Alice dice proprio così. «Non mi sono ancora resa conto di quello che è successo. Non pensavo che la Biles cadesse. Non pensavo che la brasiliana Andrade mi stesse dietro. Ho avuto anche un po’ di fortuna…».
Quale fortuna. Anni di sacrifici, di allenamenti, di recupero dagli infortuni. Come se l’assenza della gemella le avesse dato forza. «Anche questo è possibile. Ma in realtà non soltanto sulla trave ognuna è da sola; ogni volta si gareggia sempre contro se stesse».
Vale per la Biles, con quegli esercizi che soltanto lei riesce a fare; vale anche per Alice D’Amato. «Ho cercato di pensare soltanto a me. A fare un esercizio pulito. Sono io la mia vera avversaria». E Simone Biles? «Può intimidire averla seduta accanto, salire sulla stessa trave su cui lei è salita. Però alla fine può anche diventare uno stimolo. Non pensavo di riuscire a batterla». E non pensando di riuscirci, l’ha battuta.
(da Il Corriere della Sera)
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