LA LEZIONE CHE ARRIVA DALLE URNE
L’OPINIONE DI ANDREA SARUBBI DE “IL PICCOLO”
Sarebbe frettoloso giudicare la tenuta di una maggioranza e la forza delle opposizioni sui risultati di ieri: ci si può limitare soltanto a qualche spunto, per un paio di motivi. Il primo è che il voto alle Regionali è forse quello in cui l’opinione pesa di meno: capita spesso che siano i candidati nelle varie liste a trainare il consenso per i partiti e non viceversa.
Il secondo è che, comunque, si votava soltanto in un pezzo d’Italia: tolte alcune sfide segnate (Toscana e Veneto su tutte), il vero dubbio era capire se ci sarebbero state grandi sorprese rispetto alle previsioni.
La risposta è nì: Renzi non può stappare champagne, ma probabilmente già lo immaginava.
Da un lato, si conferma che il risultato delle Europee 2014 fa storia a parte: sull’onda della speranza lanciata dall’homo novus, il Pd toccò una percentuale che ora vede con il binocolo, perchè un anno abbondante di governo logora e perchè nel frattempo il Centrosinistra ha ricominciato a dividersi come è nel suo dna.
Si torna dunque a un’Italia divisa in tre o quattro tronconi, in cui la maggioranza non è altro che la più forte delle minoranze: quando riesce a governare, dunque, è grazie al premio, perchè con un proporzionale non ce la farebbe mai.
Da questo punto di vista, sarà curioso vedere alla prova il nuovo sistema elettorale e capire chi, nel ballottaggio dell’Italicum, potrebbe oggi sfidare l’attuale presidente del Consiglio: Centrodestra e Cinquestelle, infatti, sembrano piuttosto vicini.
Ma non è un dominio assoluto, come dimostrano i voti in Veneto, in Liguria e gli equilibri nella stessa Umbria, che tutti davano per scontata forse con troppo anticipo.
Il Veneto avrebbe potuto anche essere la cartina di tornasole del nuovo partito della nazione, ma non lo è stato: chi voleva capire se, in una terra tradizionalmente moderata, l’offerta politica renziana fosse in grado o meno di infastidire il Centrodestra ha visto il leghista Zaia passeggiare comodamente verso il bis, nonostante la scissione di Tosi, senza che un solo sondaggio in tutta la campagna elettorale desse mai il Centrosinistra in corsa.
La Liguria a Toti è poi la conferma di quanto l’ala sinistra del Centrosinistra non sia magari in grado di vincere le elezioni, ma riesca — se vuole — a farle perdere ai suoi ex compagni.
A Genova, dove Raffaella Paita non era andata bene alle primarie, hanno votato; alla Spezia, dove la candidata di Renzi è di casa, si sono astenuti in parecchi.
Altri ancora hanno appoggiato Pastorino, se non direttamente (nel segreto dell’urna) Toti: tutto pur di dare un segnale al segretario del Partito democratico, facendogli capire che l’uomo solo al comando non può andare lontano.
Ma la Liguria è stato anche l’unico caso in cui si è visto uno scontro determinante a sinistra, reso possibile da un candidato ufficiale del Pd abbastanza debole: in Campania, invece, la cosiddetta sinistra radicale ha fatto il solletico a De Luca (su cui si riaprirà ora il tira e molla giudiziario), la cui popolarità è stata più forte dei tentativi di metterla in discussione.
Per il resto, al netto dell’astensionismo molto alto, alcune considerazioni sparse.
La prima è che i Cinquestelle esistono anche se non fanno nulla: pur non segnalandosi in Parlamento per iniziative particolarmente meritorie, nè avendo lasciato un grosso segno nella politica nazionale, sono sempre lì, e vanno forte anche stando fermi.
La seconda è che il Centrodestra non è morto, anche se non gode di ottima salute: vince dove ha buoni candidati o dove il Centrosinistra si divide, e l’unico lusso che non può permettersi in questo momento è di dividersi anche lui.
La Lega ha superato Forza Italia in varie circostanze, gli stessi fittiani hanno segnato un buon risultato in Puglia; nessuno, però, può farcela da solo: se Salvini, Berlusconi e dissidenti vari prendono strade diverse, infatti, vanno tutti a sbattere.
Andrea Sarubbi
(da “Il Piccolo”)
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