LA MOSSA DI BERLUSCONI, OVVERO LA LEZIONE DEL CAVALIERE PER AVERE UN PORTAFOGLIO UE DI PESO
REGOLA NUMERO UNO: PRESENTARE UN CANDIDATO A CUI NON SI POSSA DIRE NO… REGOLA NUMERO DUE: PENSARE PRIMA AL PAESE E AL SUO PESO IN EUROPA … ALLA FINE, AL CONFRONTO DI QUESTA ARMATA BRANCALEONE AL GOVERNO, SIILVIO PARE UNO STATISTA
“Il governo punta ad un portafoglio economico importante – annuisce il presidente – e per questo ha in mente un candidato molto qualificato”.
Dopo due ore di d’incontro col numero uno della Commissione incaricato, il premier ha detto di ambire a “un peso maggiore” per l’Italia in Europa. La designazione del candidato qualificato “potrà tranquillizzare i partner europei sulla fedeltà dell’Italia alla vocazione unitaria”.
I virgolettati che avete appena letto vengono da “la Stampa” e, prima di arrivare sino a questa pagina, hanno viaggiato nel tempo per 25 anni. Essi provano che non è cambiato molto in un quarto di secolo, se non in peggio.
Perchè già nel 1994, quando si arrivò a dover cambiare i vertici europei, l’Italia era guardata con sospetto, nessuno sapeva davvero cosa pensare del debuttante Silvio Berlusconi che negoziava a Bruxelles
Non si fidavano. Erano per preoccupati per la fragilissima liretta e per tenuta della nostra economia, debole e indebitata senza che nessuno potesse ancora dare la colpa all’euro (che non c’era).
“Non toccherò le pensioni”, prometteva il Cavaliere sulle colonne del nostro giornale. Anche se sotto, nella stessa pagina, il ministro del Tesoro Lamberto Dini avvertiva che “con questo sistema, non arriviamo al Duemila”.
Riassumiamo. Sfiducia verso l’Italia, e voglia di contare di più di un governo capace di esprimersi con almeno due voci. Già visto?
Se tanto ci dà tanto, siamo rovinati? Per nulla.
Allora Silvio Berlusconi, non senza incertezze, giocò bene la partita e vinse con la mossa del cavallo. Certo lo aiutarono le regole del gioco, differenti, ma ciò non toglie che fu un ottimo match.
In quel tempo, ogni paese della Comunità aveva diritto a due commissari, in genere provenienti da schieramenti politici differenti.
Il Cavaliere capì in fretta che una nomina “politica” non sarebbe andata lontana.
Per questo scelse Mario Monti, già professorone sebbene appena cinquantunenne, stimato al punto da essere stato invitato da Carlo Azeglio Ciampi ad essere il suo ministro del Bilancio, poltrona rifiutata perchè riteneva che le sue competenze non fossero all’altezza del compito.
Era un tecnico dal grande curriculum, uno di quelli a cui non si poteva dire di no. Ebbe il mercato Interno, portafoglio cruciale nei giorni della libera circolazione appena nata. Un successo, senza dubbio.
Per scegliere la seconda poltrona l’esecutivo forzista penò parecchio di più. Si parlò del ministro per le politiche comunitarie (si chiamavano così) Domenico Comino e dell’ex presidente della Consulta (nonchè ex eurodeputato) Antonio La Pergola. Alleanza Nazionale fece il nome di Romano Prodi che evitò la polpetta avvelenata.
In extremis, ma davvero all’ultimo momento, saltò fuori Emma Bonino, nome politico ma largamente considerato a livello internazionale.
Il ritardo la costrinse a un portafoglio tricefalo messo insieme alla bisogna, Consumatori, Aiuti Umanitari e Pesca, responsabilità solo in apparenza di secondo piano. Fece bene. Come Monti al mercato interno.
Potrebbe funzionare anche oggi. Il governo Conte potrebbe mettere sul tavolo un nome indiscutibile, un poco tecnico anche, uno di quelli su cui nessuno potrebbe avere da ridire. Sarebbe una scelta per l’Italia e non per la politica, davvero una mossa del cambiamento, anche se Berlusconi lo aveva già fatto. Ri-cambiamento, va bene lo stesso.
Garantire all’Italia di contare quanto può, e deve, è più importante di ogni cosa. Se servisse la mossa del cavallo, ancora, sarebbe il caso di compierla.
Chi? Niente nomi, non qui. Ma basta guardarsi intorno. I candidati non mancano. La voglia di fare il bene del paese, invece, non è detto sia predominante.
(da “La Stampa”)
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