LA QUESTIONE MORALE NEL PDL: CANDIDARE I CONDANNATI?
MENTRE AN VORREBBE INSERIRE NELLO STATUTO IL DIVIETO DI CANDIDARE CHI HA PRECEDENTI, FORZA ITALIA FRENA… LA LEGA HA GIA’ CHIUSO DUE OCCHI DA TEMPO
Candidare chi ha la fedina penale macchiata da una condanna o no? Riesplode la vecchia polemica tra legalitari e garantisti, comune in verità a molti altri partiti.
E’ noto che nel PdL un comitato ristretto di dirigenti sta lavorando allo statuto del nuovo partito unico. La discussione è aperta e l’opera è ancora in alto mare.
Il dubbio riguarda se trattare o meno la “questione morale”, fin dalla fase embrionale statutaria. La nascita del nuovo partito non sarà solo, negli auspici dei vertici, la somma degli apparati di Forza Italia e di Alleanza nazionale, più i cespugli che hanno già aderito alla lista elettorale uscita vincente alle scorse elezioni, ma attirerà anche altre persone.
Il problema che si pone è quindi quello del filtro, ovvero come selezionare chi vuole aderire, senza il rischio di trovarsi ospiti indesiderati in casa.
I più preoccupati sono quelli di An, partito che, nel proprio statuto, prevede criteri precisi per le nuove iscrizioni. E dove l’adesione di un simpatizzante è sottoposta al vaglio di più soggetti addetti al controllo.
Nel PdL al tavolo delle regole siedono esponenti di primo piano come Cicchitto, Gasparri, Bocchino, Quagliarella, La Russa, Verdini, Rotondi, Caruso, Ghedini, Corsaro e Capezzone.
La filosofia attualmente prevalente è quella di “un partito non partito”, più vicino a Forza Italia che alla visione di Alleanza nazionale.
Ovvero una struttura leggera, aperta all’adesione di tutti e senza tesseramento, perlomeno in una prima fase, riservandosi in ogni caso qualche strumento di selezione.
E’ stato poi sollevato il tema della questione morale applicata alle candidature. Giusto o sbagliato non presentare in lista chi ha avuto problemi con la giustizia?
Non è certo una novità che Forza Italia abbia un approccio più garantista alla questione.
In via dell’Umiltà ritengono che la materia non debba essere trattata dallo statuto del Popolo della Libertà , in quanto sarebbe sufficiente attenersi alle leggi vigenti che permettono di candidare chi, anche condannato, non sia stato interdetto dai pubblici uffici.
In An la pensano diversamente, tanto è vero che già nel corso della scorsa campagna elettorale il vertice aveva invitato gli imputati in attesa di sentenza per reati particolarmente odiosi a “saltare un giro”.
Qualcuno ora osserva che non è facile “fare un catalogo dei reati cosiddetti infamanti e incompatibili con una candidatura”. Secondo alcuni la discriminante “potrebbe essere la condanna definitiva, ma ci sono reati e reati”.
La proposta finale di An potrebbe essere la fomula “sono incandidabili i condannati con sentenza in giudicato puniti con un tot di anni di reclusione”.
Anche questa formula non è detto che incontri il consenso però di Forza Italia. Quello che ci fa specie è che diventi un problema di lana caprina trovare un escamotage per uscire per forza con una volontà definita da questa impasse.
Per noi, chi ha precedenti penali passati in giudicato di qualsiasi genere, esclusi i reati di eventuale origine politica, non dovrebbe essere candidato, molto semplice.
E chi è in attesa di sentenza definitiva, qualora nel corso del mandato sopravvenisse una sentenza di condanna, deve essere dichiarato immediatamente decaduto.
Che ce frega se un “ladro” è o meno interdetto dai pubblici uffici, noi non vogliamo un ladro a rappresentarci e basta.
E sottovalutare la questione morale, come la lotta ai privilegi della casta, è l’ennesimo cattivo sintomo che il PdL non riesce a essere in sintonia col proprio elettorato, che invece esige trasparenza.
La stessa trasparenza che, se applicata anche a sinistra e alla Lega, vedrebbe ridursi di qualche noto elemento anche la loro rappresentanza parlamentare, tanto per essere chiari.
Il problema è generale ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.
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