LA SORA GIORGIA DEVE DECIDERE DA CHE PARTE STARE, E LO DEVE FARE ORA: LA SCONFITTA DEGLI ALLEATI POLACCHI DEL PIS, OLTRE CHE A FARLA INCAZZARE, L’HA LASCIATA SENZA UN PIANO B IN EUROPA
CHE FARE? SGANCIARSI DA ECR O VOTARE PER LA RICONFERMA DI URSULA VON DER LEYEN? IL TEMPO STRINGE E LA DUCETTA È DEBOLE: IL RISIKO DELLE ALLEANZE È PARTITO, E ALL’ORIZZONTE CI SONO I GIUDIZI DELLE AGENZIE DI RATING E QUELLO DELLA COMMISSIONE UE SULLA FINANZIARIA. A BRUXELLES SONO GIÀ PRONTI CON LA MATITA ROSSA PER I RILIEVI SU DEBITO E DEFICIT
Per far quadrare i conti e portare a casa la manovra, Giorgia Meloni ha dovuto rifilare delle sonore “sberle” ai ministri che chiedevano più fondi. Un metodo che il titolare dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha sintetizzato con: “È una legge di bilancio che prende a schiaffoni i ministri”.
Una frase, questa, che mostra plasticamente il livello di nervosismo raggiunto a Palazzo Chigi. Le difficoltà a blindare la manovra arrivano dopo gli sganassoni rifilati dagli elettori in Spagna e Polonia agli storici alleati della sora Giorgia, Vox e il Pis, sonoramente sconfitti dai rivali alle urne. La performance loffia del partito di Kaczynski e Morawiecki ha molto irritato la Meloni, che ha visto sgonfiati gli alleati su cui contava di più.
Il ridimensionamento del fronte dei conservatori europei ha lasciato Giorgia Meloni senza un piano B: sognava di disarticolare il tradizionale asse popolari-socialisti a Bruxelles, e si ritrova con un pugno di mosche in mano. Ora è costretta a procedere in modo tattico, senza una chiara strategia d’azione, mentre lo scenario europeo si va definendo.
La Ducetta è costretta a decidere, dunque, se sganciarsi da Ecr, gruppo degli euroconservatori di cui è presidente, e votare per la riconferma di Ursula Von der Leyen alla presidenza della Commissione, o, al grido di “meglio perdere che perdersi”, tirare fuori gli artigli e andare allo scontro frontale con il rischio di finire nella ridotta degli irrilevanti.
Tutto questo, mentre incombono scadenze decisive per il destino economico e finanziario dell’Italia: come ricordava Marco Cremonesi sul “Corriere della Sera” stamani, “venerdì Standard&Poors, quello successivo Dbrs morningstar, il 10 novembre Fitch, il 17 novembre il più delicato di tutti, Moody’s. Fino all’ultimo esame dell’anno, Scope Rating, l’1 dicembre. Gli appuntamenti che sanciranno il costo del debito”.
Si tratta di esami che puntano dritto all’azione politica di Giorgia Meloni: la scure più pericolosa è senza dubbio quella di Moody’s, che nell’ultima valutazione sul debito italiano aveva espresso un giudizio con outlook negativo. Ora, come Dago-dixit, solo grazie al caos geopolitico in Medio Oriente e in Ucraina, l’agenzia americana sarà “obbligata” a non declassare il nostro debito a “spazzatura”. Un Paese come l’Italia, alleato chiave della Nato e “porta” dell’Europa sul Mediterraneo non si più mandare gambe all’aria in una fase storica così instabile.
Dopo la girandola delle agenzie di rating arriveranno, il 22 novembre, anche le elezioni in Olanda, dove le destre rischiano l’ennesima bastonatura. Poi il governo Meloni sarà chiamato a portare a Bruxelles la bozza finale della legge finanziaria, e c’è da giurare che gli occhiuti tecnici della Commissione faranno ampi rilievi.
Non solo perché, come segnalato anche da “Le Monde”, poco s’è fatto per ridurre l’enorme debito pubblico, che ormai ha superato i 2800 miliardi di euro. Ma anche perché vi è molta incertezza sulle coperture delle misure previste, a partire dal Ponte sullo Stretto (una concessione a Salvini senza però stanziamenti effettivi di fondi), per proseguire su riforma fiscale, cuneo e pensioni. Si tratta di provvedimenti che hanno un orizzonte corto, di un anno, e non si possono considerare strutturali.
Contemporaneamente, la legge finanziaria arriverà in Parlamento, dove i partiti della maggioranza tenteranno un assalto alla diligenza.
Si profila all’orizzonte, quindi, un duello tra Roma e Bruxelles. Uno scontro che Giorgia Meloni affronterà da una posizione di debolezza, dopo il ridimensionamento del fronte conservatore in Europa.
La vittoria di Donald Tusk in Polonia ha ringalluzzito il PPE, che sarà più severo di prima verso l’Italia sovranista della “Thatcher della Garbatella”. I popolari si potranno permettere maggiore rigidità: ora si sentono più sicuri di avere una maggioranza, insieme a socialisti e liberali, dopo il voto europeo.
In questo bailamme, la sora Giorgia si ritrova anche la patata bollente del voto definitivo sul Mes, con la Lega pronta a votare contro la ratifica del Fondo salva stati, come “vendetta” del sostanziale affossamento dell’autonomia regionale. E poi si arriverà allo showdown con la riforma del patto di stabilità.
Giorgia Meloni ha le spalle al muro e deve decidere da che parte stare: stretta tra la Lega, sempre più schiacciata a destra, e Forza Italia, saldamente ancorata al PPE, si ritrova in un limbo pericoloso. E il tempo stringe: se è vero che le elezioni europee si svolgeranno a giugno 2024, il risiko delle alleanze è già partito e la premier si deve schierare ora, perché da questo dipenderà anche la “flessibilità” e la benevolenza della Commissione sulla legge di bilancio di Rom
(da Dagoreport)
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