LAGER ITALIANI, PONTE GALERIA: DOVE CI SI SPEZZA LE GAMBE PUR DI ANDARSENE
NEL CPR ROMANO AGGHIACCIANTI STRATAGEMMI PER USCIRE DA UNA STRUTTURA VERGOGNOSA
Un ragazzo di neanche ventidue anni, Ousmane, si è tolto la vita ieri mattina, prima dell’alba, nel Centro di permanenza per il rimpatrio di Roma, a Ponte Galeria. Era lì da cinque giorni, proveniente da Trapani, dove era stato rinchiuso sin dal mese di ottobre, in attesa – come si dice – di identificazione e di espulsione.
Con il suo lavoro in Italia avrebbe voluto mantenere i suoi fratelli più piccoli in Guinea, e invece è stato fermato e rinchiuso in un Cpr per tre mesi e poi, non essendo riusciti a rimpatriarlo, ancora per altri tre mesi. Lo ha raccontato a un’operatrice di Ponte Galeria, della sua frustrazione per non poter essere utile alla sua famiglia e per l’assurdità di una detenzione senza ragione e senza scopo, destinata solo a protrarsi fino al limite dei diciotto mesi voluti dal decreto Cutro.
Tre mesi, e poi altri tre, e poi fino a un anno e mezzo, in un ambiente ostile e inospitale, privo di qualsiasi attività, che i suoi compagni ci hanno ripetuto essere privo di acqua calda, con un solo telefono funzionante per decine di persone, con un vitto scadente e sempre uguale a se stesso, con lenzuola e biancheria fornite solo all’ingresso.
Ousmane a un certo punto non ce l’ha fatta più, e dopo averlo scritto su un muro, si è impiccato, e a nulla sono valsi il tentativo dei suoi compagni di salvarlo, tirandolo giù dalla grata a cui si era legato, e poi l’intervento dei sanitari e infine dell’ambulanza, che non ha potuto far altro che constatarne il decesso.
La Procura ci dirà che altro c’è da sapere su questa tragedia. Intanto sappiamo che nei Cpr non è previsto un piano di prevenzione per il rischio suicidario e che l’“idoneità alla vita ristretta” è valutata una volta per sempre, all’inizio del trattenimento, da un medico che potrebbe anche non aver mai visto com’è e come funziona un Cpr.
E a Ponte Galeria abbiamo scoperto che si è diffuso un nuovo agghiacciante stratagemma per uscirne: ci si rompe le gambe a forza, scalciando contro i muri o lanciandosi dal tetto del reparto detentivo o dalla sommità delle recinzioni che li chiudono. Se ti “va bene” e almeno una gamba si rompe, ti viene prescritto l’uso di una stampella, che è oggetto pericoloso in quelle gabbie di disumanità, e allora ti si aprono le porte del Centro per inidoneità sopravvenuta al trattenimento. Se non è questo il mondo al contrario, non so quale altro possa essere.
(da Huffingtonpost)
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