LANDINI, IL LIBERATORE SOLO E IL TRADIMENTO DEI GIOVANI
UNA GENERAZIONE ILLUSA DAL TAROCCO “MENO DIRITTI, PIU’ LAVORO”
È un’immagine che ritorna: la figura mitica dell’eroe vicino al “popolo” — di un Risorgimento tanto ideale quanto fallimentare — che dal popolo stesso anzichè accolto viene aggredito e insultato.
Già evocata e sublimata fantasiosamente nel 1974 in Allonsanfan dei fratelli Taviani, si ripropone nell’attualità politica e mediatica, i cui termini sono sempre più stretti e interconnessi.
Nel 1857 la spedizione di Carlo Pisacane — cui i Taviani parzialmente si ispirarono per il loro film — si concluse in un eccidio, perchè i contadini che i mazziniani e i rivoluzionari volevano liberare dall’oppressione borbonica, anzichè attendere a braccia spalancate il manipolo di liberatori, li infilzarono con falci e forconi.
Non c’è nulla di più labile e fluttuante della categoria “popolo”. Oggi come ieri.
Ne fa le spese talvolta chi a esso si sente contiguo, chi ne prende le parti e ne brandisce idealmente le ragioni, chi vorrebbe lottare per la sua causa, ma viene proditoriamente ricacciato indietro dal popolo stesso.
È il caso di Maurizio Landini, (Anno Uno, La7, giovedì, 21.15) — che ha le stimmate dell’eroe ottocentesco — indotto a dialogare con una realtà , scivolata via via su una china incerta — al centro di un parterre di giovani, che lo incalzano quasi con astio pretestuoso, come fosse un qualsiasi Tony Blair, costretto a giustificarsi di aver sostenuto la guerra in Iraq.
Le accuse sono quelle generiche e rivendicative, di chi ritiene che i “sindacati” non abbiano fatto gli interessi dei “non garantiti”.
Il leader della Fiom sembra colpito da tanta vis polemica, anche se cerca di parare i colpi e ribattere.
Ma ciò che emerge nella dialettica del talk è la solitudine del “liberatore”, quasi il suo sgomento, non perchè non abbia argomenti, anzi, ma perchè gli appare curioso e doloroso che debba utilizzarli — da sindacalista “politico”, che non si occupa solo di contratti, ma a cui sta a cuore che non vengano lesi i diritti dei lavoratori — contro coloro cui la sua battaglia si rivolge.
Come un insegnante, che avesse dedicato la vita intera alla causa dei giovani, votato alle sue finalità educative e professionali, che dagli alunni infine, anzichè un grazie, ricevesse indifferenza, incomprensione e ostilità .
O come chi si trovasse in Pakistan, in una di quelle regioni in cui i piccoli già a quattro anni tessono tappeti per poche rupie, e pensasse di lottare per liberarli dalla schiavitù, scoprendosi solo nella sua battaglia, perchè sono gli stessi genitori che li vendono o affittano, quei bambini, e l’intero sistema economico del Paese che ci prospera.
La solitudine del liberatore è un paradosso straniante.
Il diritto allo studio, la politica industriale, l’articolo 18, la tutela dei principi costituzionali: gli argomenti di Landini, che rappresentano la sua piattaforma di richieste al governo, si infrangono contro la diffidenza di coloro che non vogliono ascoltare ragioni, che percepiscono superate dalla realtà , ma che fino a poco tempo fa a tutti sembravano incontestabili.
Nulla sembra smuovere quei giovani animosi, che navigano nel mare dell’oggettività , senza orizzonti nè orientamento, incantati dall’unico refrain: meno diritti, più lavoro.
Come se l’equazione e l’approdo, peraltro, fossero scontati e non tutti ancora da dimostrare.
Luigi Galella
(da “il Fatto Quotidiano”)
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