LAVORO, ALTRO CHE MIRACOLO: POLETTI COSTRETTO A SMENTIRSI, SI ERA SCORDATO I CONTRATTI CANCELLATI.
L’ISTAT GELA L’OTTIMISMO DEL GOVERNO: A GENNAIO -44 MILA OCCUPATI E +23 MILA LICENZIATI
È la nemesi dei numeri. Cavalcare dati singoli e incompleti sul lavoro si sta rivelando un gioco al massacro per il governo, costretto in poche ore a una pesante retromarcia, aggravata di nuovo dall’Istat
Andiamo con ordine. Ieri l’Istituto di statistica ha diffuso i dati mensili sull’occupazione: nel solo mese di febbraio si registrano 44 mila occupati in meno (quasi tutte donne) e 23 mila disoccupati in più (+0,7 per cento), con il tasso di disoccupazione che sale al 12,7 per cento, tornando ai liveli del dicembre scorso.
Rispetto a febbraio 2014 — primo mese dell’era di Matteo Renzi a Palazzo Chigi — l’occupazione è cresciuta dello 0,4 per cento (+93 mila), mentre la disoccupazione ha fatto un forte balzo in avanti del 2,1 per cento: significa 67 mila posti di lavoro persi.
Solo poche ore prima, il Sole 24 Ore riportava anche la retromarcia del ministro del Lavoro Giuliano Poletti: dopo aver sbandierato pochi giorni fa i “79 mila contratti stabili in più siglati tra gennaio e febbraio”, Poletti si è deciso a comunicare al quotidiano della Confindustria anche quelli “cessati”, ridimensionando così il loro numero a 45.703, buona parte dei quali, come si temeva, sono stabilizzazioni di contratti precari e non nuovi posti di lavoro.
È la certificazione di una corsa ad accaparrarsi l’incentivi stanziati dal governo con la legge di Stabilità : la decontribuzione fino a un massimo di 8.060 euro, che ha provocato una valanga di richieste all’Inps e potrebbe portare nel giro di pochi mesi a esaurire le risorse stanziate (1,9 miliardi di euro nel 2015).
Un doppio colpo pesante, che raffredda non poco gli entusiasmi del governo che nelle ultime settimane ha provato a magnificare gli effetti del jobs act limitandosi sempre al bicchiere mezzo pieno e diffondendo dati positivi per mascherare quelli negativi.
Venerdì scorso, per dire, Poletti aveva comunicato le anticipazioni sui contratti siglati (“nei primi due mesi del 2015 si registrano 155 mila contratti in più rispetto al 2014”) per coprire il tonfo del fatturato dell’industria registrato a gennaio (-1,6 per cento rispetto a dicembre).
Sarà un caso, ma da ieri l’Istat ha deciso di comunicare anche la media mensile rispetto ai tre mesi precedenti “per offrire ai lettori andamenti che risentono meno della variabilità che si osserva a breve termine”.
Tradotto: cerchiamo di fare un po’ di chiarezza vista la confusione regnante. Risultato? “Nel trimestre, l’occupazione è rimasta sostanzialmente stabile”, cioè non è cresciuta, a dispetto gli annunci.
Se non è una risposta al governo, poco ci manca. Tanto più che pochi minuti dopo, l’Istituto di statistica ha diramato alle agenzie una curiosa precisazione, quasi a compensare lo sgarbo: “A calare è solo l’occupazione femminile”. Che peraltro langue da oltre due anni.
Al di là dell’Istat, però, sono proprio i numeri resi noti ieri da Poletti a fare chiarezza.
Dai dati, infatti, emerge che l’aumento dei contratti a tempo indeterminato di gennaio e febbraio è dovuto essenzialmente alle stabilizzazioni di rapporti di lavoro già in essere, e a un “effetto rimbalzo”, visto che negli ultimi tre mesi del 2014 le attivazioni avevano subito un brusco calo (passando da circa 117 mila a poco più di 88 mila).
In pratica, le aziende hanno aspettato il nuovo anno per assumere, proprio per accaparrarsi i generosi incentivi previsti a partire da gennaio. Non solo.
Nei primi due mesi del 2015 insieme alle “attivazioni”, sono cresciute anche le “cessazioni” di contratti stabili: dai 243 mila licenziamenti del 2014, ai 257 mila di gennaio-febbraio di quest’anno.
Era già successo nel dicembre scorso, quando Poletti venne smentito a stretto giro dal suo dicastero: aveva anticipato i dati delle comunicazioni obbligatorie del terzo trimestre 2014, da cui si evinceva “un incremento di 400 mila unità ”, guardandosi bene dallo specificare che quelli “cancellati” erano però 483 mila. Ieri, seppure in misura minore, è avvenuta la stessa cosa.
Il ministero, poi, non ha voluto diffondere anche i dati di marzo 2014.
Non è un dettaglio da poco: stando ai numeri, in quel mese le attivazioni “stabili” dovrebbero essere state almeno 200 mila, e questo ridimensiona non poco le uscite di Poletti.
Se venisse considerato l’intero trimestre, infatti, probabilmente i “79 mila contratti a tempo indeterminato in più rispetto al 2014” rivendicati dal ministro del Lavoro sarebbero molti meno. Tanto più che l’altra faccia della medaglia è rappresentata dall’aumento dei contratti precari (circa 54 mila unità ), dal calo di quelli di apprendistato (da 34 mila del 2014 ai 33 mila di gennaio-febbraio 2015, mentre quelli “cancellati” sono più di tremila), su cui il governo aveva puntato molto: dovevano essere il cuore della “Garanzia giovani” (il cui flop è ormai conclamato) e invece vengono divorati dalla corsa agli incentivi.
Ieri, Poletti ha spiegato che questi numeri “non smentiscono il consolidamento della ripresa”. Secondo la leader della Cgil Susanna Camusso invece, “in queste settimane abbiamo assistito a una nauseante propaganda su dati parziali e inconsistenti, ma il lavoro non c’è”.
Con fatturato e produzione industriale fermi, non potrebbe essere altrimenti.
Carlo Di Foggia
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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