LE MANI DI SALVINI SU TUTTE LE FERROVIE ITALIANE, TRA TRENITALIA A TRENORD
GESTIRE LE FERROVIE VUOL DIRE METTERE LE MANI SU 90 MILIARDI DI INVESTIMENTI
Volevano prendersi Trenord, hanno finito per mettere le mani su tutta Trenitalia.
È il jackpot centrato della Lega di Matteo Salvini, grazie al ministro Cinque Stelle, Danilo Toninelli, il quale mercoledì pomeriggio ha licenziato via Twitter l’ad della società Renato Mazzoncini.
Un licenziamento “etico”, secondo il ministro, motivato dal rinvio a giudizio ricevuto in Umbria per una storia di truffa dal renzianissimo manager, nonostante questi fosse stato riconfermato in extremis dal governo Gentiloni.
Uno spoil system estremo che in realtà nasconde lo scambio spartitorio degno della più scafataPrima Repubblica: Cassa Depositi e Prestiti ai pentastellati, Ferrovie alla Lega.
Nel pacchetto il Toninelli ha anche messo la marcia indietro sulla fusione Fs-Anas, un mostro giuridico voluto da Renzi, apprezzato solo dai fedelissimi dell’ex segretario Pd.
Altra motivazione addotta da Toninelli per il siluramento, la disastrosa condizione del trasporto regionale: il ministro ha infatti incolpato Mazzoncini di aver investito troppo sull’alta velocità a scapito del Tpl. Un’accusa risibile alla luce dell’ultimo piano industriale triennale di Fs, tutto votato all’accaparramento del Tpl italiano, come dimostrano gli oltre 5 miliardi destinati all’acquisto dei nuovi treni regionali di Hitachi e Alstom.
Alla guida del colosso da oltre 8 miliardi l’anno di investimenti (tanti ne sono previsti nel 2018) molto probabilmente finirà l’unico manager spendibile dal Carroccio, Giuseppe Bonomi, l’uomo che la Lega mette nelle società ricche. Da Sea ad Arexpo. Gli altri nomi in lista, a partire da Maurizio Gentile, attuale Ad della controllata Rete ferroviaria italiana hanno poche chance.
Ma siamo sicuri che nello scambio i grillini abbiano fatto un affare? È tutto da vedere.
Perchè controllare le Ferrovie significa gestire oltre 90 miliardi di investimenti tra rete, tecnologia e materiali viaggianti, la maggior parte dei quali localizzati in Italia. Fs, tramite le sue controllate, gestisce i grandi lavori infrastrutturali del Paese, sceglie con i suoi bandi i fornitori; decide in quale direzione le università italiane debbano fare ricerca.
È, insomma, il primo committente del settore secondario e terziario italiano.
Ma, soprattutto, rispetto a Cdp, i suoi vertici hanno piena libertà di manovra nelle scelte di allocazione delle risorse, e controllare gli investimenti di una società che conta 81 mila dipendenti, e che dà lavoro ad altri 240 mila nella filiera, significa decidere circa il 2% del pil italiano.
Salvini si ritrova così a raccogliere i frutti delle scelte di Renzi, al quale va fatto risalire il disegno di fare di Fs una piccola Iri, un grumo di potere economico in grado di influenzare le scelte politiche anche delle varie amministrazioni locali.
Da queste pagine spesso abbiamo criticato la scelta del governo di lasciare mano libera a Fs nel fare man bassa dei vari contratti di servizio regionali: al posto delle gare competitive a livello europeo — auspicate da Antitrust e Corte Costituzionale -, l’esecutivo ha permesso che le regioni “regalassero” i trasporti regionali a Trenitalia con affidamenti diretti. Dal Lazio alla Sicilia, dalla Puglia all’Umbria.
Una posizione condivisa da molti parlamentari di M5s, che per anni hanno osteggiato la politica del trasporto pubblico locale italiana, raccogliendo voti dagli estenuati pendolari italiani. Quegli stessi pendolari che avrebbero voluto fortemente i “loro” pentastellati seduti nella sala comando di Fs e che invece si ritroveranno l’uomo di fiducia del “Comandante” Salvini.
Un esempio per comprendere quanto il cambio dei vertici di Fs abbia ripercussioni immediate su tutta la politica e sull’economia del Paese (e sul potere finito in mano al Carroccio), lo offre l’intricata situazione di Trenord, la società lombarda di trasporti ferroviari, partecipata paritariamente fino a pochi mesi fa da Regione Lombardia e Fs. Trenord nasce nel 2011 perchè la Lega — allora era ancora fieramente autonomista — sognava la costituzione della macro-regione del nord e sapeva che il primo passo del progetto doveva essere la creazione di un player ultraregionale in grado di sottrarre il controllo dei trasporti a Trenitalia.
Un matrimonio nato male e finito peggio, tanto che i due sposi si sono ritrovati a rimpallarsi le responsabilità per gli immani disservizi subiti quotidianamente dai pendolari della regione più industrializzata d’Italia.
Un rapporto burrascoso sfociato nel prossimo divorzio annunciato un po’ a sorpresa dal neo governatore lombardo Attilio Fontana. Secondo il piano del Pirellone, il servizio sarebbe dovuto tornare a dividersi: alcune linee a Trenord (controllata solo da Regione Lombardia), le altre affidate alla “nemica” Fs, in regime di concorrenza sfrenata.
Un progetto confuso, nebuloso, senza certezze temporali e giuridicamente intricato, tenuto nascosto da Fontana fino all’ultimo, che aveva suscitato le ire dei sindacati e le proteste delle opposizioni al Pirellone.
Alla luce di quanto successo a Roma mercoledì 25, tutto ha più senso: Fontana stava solo prendendo tempo, in attesa che la testa di Mazzoncini rotolasse dalla rupe. Nel frattempo, guarda un po’ le coincidenze, il governatore lombardo aveva nominato proprio Giuseppe Bonomi nel board di Ferrovie Nord Milano, la società regionale che gestisce Trenord.
Oggi, che le Ferrovie sono passate alla Lega, quel divorzio per incomprensioni gestionali, probabilmente, non sarà più necessario perchè tra leghisti ci si aiuta, non si fa la guerra.
Il Carroccio è riuscito così — dopo vent’anni di attesa e vani tentativi — a prendersi tutti i binari italiani. Un capolavoro politico per il quale Matteo Salvini dovrà ringraziare sempre quell’altro Matteo.
(da “Business Insider”)
Leave a Reply