L’ESCLUSIONE DI DUNTSOVA E’ UN MESSAGGIO AGLI OPPOSITORI: PUTIN ALLE ELEZIONI NON VUOLE SCHERZI
L’EX GIORNALISTA PACIFISTA NON ERA UNA MINACCIA MA UN POTENZIALE DANNO ALLA SUA IMMAGINE
“Qualsiasi persona sana di mente che intraprenda questo passo avrebbe paura, ma la paura non deve vincere”. Ancor prima di candidarsi, l’ex giornalista televisiva Yekaterina Duntsova era consapevole della sfida che l’avrebbe attesa. Non soltanto aveva deciso di scendere in campo per sfidare Vladimir Putin, ma voleva farlo stravolgendo la Russia, azzerando sostanzialmente gli ultimi vent’anni.
Anche quando sabato si è vista respingere all’unanimità la sua candidatura dalla Commissione elettorale centrale a causa delle “numerose violazioni” (cento, secondo l’Associated Press) nella documentazione presentata, la resa sembra un termine a lei sconosciuto. “Con questa decisione politica, siamo privati dell’opportunità di avere un nostro rappresentante ed esprimere opinioni diverse dal discorso aggressivo ufficiale”, ha scritto sul Telegram promettendo che “questa non è la fine, andremo alla Corte Suprema per presentare ricorso”. Assicura battaglia, dunque, senza ascoltare i consigli di chi – forse genuinamente, forse no – le consiglia di lasciar perdere. “Sei una giovane donna, hai tutto davanti a te. Ogni aspetto negativo può sempre essere trasformato in positivo. Ogni esperienza è sempre un’esperienza”, le ha ricordato Ella Pamfilova, la presidente della Commissione che l’ha esclusa dalle elezioni.
Contraria alla guerra in Ucraina, dove avrebbe raggiunto quanto prima una pace, e favorevole alla scarcerazione dei prigionieri politici detenuti nel suo paese, a cominciare dallo scomparso Alexei Navalny per il quale gli Stati Uniti si sono detti “profondamente preoccupati”, Duntsova rappresentava una piccola minaccia per il Cremlino sebbene le sue possibilità di vittoria fossero affidate alla sola voglia di crederci.
Poco dopo le elezioni regionali e provinciali – le prime dall’invasione – stravinte dai suoi governatori in autunno, il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov aveva spiegato che, se lo Zar avesse avuto voglia di ripresentarsi per un quinto mandato (come poi è avvenuto), “allora è ovvio che allo stato attuale non ci sarebbe una reale concorrenza” in quanto “gode dell’assoluto sostegno della popolazione”.
Duntsova non si era però lasciata intimidire dai consensi bulgari, decidendo comunque di provarci da indipendente. Aveva ricevuto le 500 firme necessarie per presentare domanda e doveva trovarne altre 300mila entro fine gennaio per potersi candidare.
Ma la Corte elettorale ha fermato tutto con l’esito che ormai conosciamo. Si è così rivolta a Grigory Yavlinsky, economista russo (nato a Leopoli), ex deputato della Duma nonché fondatore del partito liberale Jabloko, che in passato ha tentato per tre volte di conquistare il Cremlino, senza successo. Ma alla richiesta della quarantenne di potersi candidare come rappresentante del suo partito – senza così dover presentare una nuova domanda – Yavlinsky ha posto il veto: “Non la conosciamo”.
Non ci sono prove che dietro l’esclusione di Duntsova ci sia la mano di Putin, ma un risultato fuori le righe della giovane candidata – che sostiene tesi profondamente opposte a quelle del Cremlino – sarebbe stato un duro colpo all’immagine del presidente. Su cui avrebbero potuto gettarsi a capofitto i falchi che volano sopra la Moscova.
Alle elezioni Putin non vuole scherzi, se mai ce ne fossero. L’opposizione in Russia è solo de iure, perché nel pratico nessuno osa andargli contro. Al contrario della Duntsova, a essere ammessi sono stati Boris Nadezhdin (centro-destra), un rivale di cui Putin ha poco da temere nonostante si spacci come suo oppositore, mentre il partito Russia Giusta che dovrebbe figurare tra quelli della resistenza allo Zar ha già annunciato di volerlo sostenere.
Il Partito Comunista, seconda forza alla Duma, ha affermato di sostenere il deputato Nikolai Kharitonov. Per ora, i candidati sono in tutto ventinove, ma nessuno che possa davvero impensierire il potere putiniano.
“È chiaro che Duntsova non costituiva una minaccia reale”, spiega ad Huffpost research fellow dell’Ispi, Eleonora Tafuro Ambrosetti. “Sappiamo bene che possiamo fidarci poco dei sondaggi, anche degli istituti più attendibili che vengono però costantemente minacciati di venire considerati agenti stranieri, ma Putin gode di un consenso indiscutibile. Magari non dell’80% come dicono. Anche perché non c’è un’alternativa politica e, nel momento in cui è visto come l’unico in grado di governare, la sua popolarità aumenta”.
Tuttavia, “con Duntsova ha voluto mandare un segnale. Lei non avrebbe vinto e si sarebbero trovati altri escamotages per impedirglielo, questo è sicuro, ma bloccare fin dall’inizio la sua candidatura è un messaggio agli oppositori. C’è una certa preoccupazione al Cremlino, un bisogno di mostrare che i russi sono ancora contenti di Putin e che lui è il leader legittimo”.
È una questione di mero calcolo politico: “Anche nei paesi illiberali, l’autocrate si fregia del supporto popolare per dire che le sue politiche sono legittime. Non è un caso che Navalny sia sparito”, osserva l’analista. “Potrebbe essere una strategia per bloccare il suo messaggio che, seppur debole e filtrato, arriva comunque alla popolazione”.
All’appuntamento di marzo, Putin vuole dunque arrivarci con quante più carte giocabili possibile. Tra queste c’è anche la guerra in Ucraina, dove le cose adesso vanno meglio di prima – ma comunque non bene. Complice anche l’inverno, senza una svolta nei prossimi mesi sarà davvero complesso uscire dallo stallo che ormai si è andato a consolidare. La Russia ha conquistato poco più di quanto già non avesse preso dopo la prima invasione del 2014, fallendo nei suoi obiettivi iniziali. Tuttavia, inglobare il sud dell’Ucraina vuol dire appropriarsi di gran parte della sua economia, oltre che portarsi a casa un territorio che ha sempre ritenuto erroneamente di sua proprietà.
Insomma, ci sono tutti i presupposti per poter parlare al popolo russo di vittoria, anche se il termine dovrebbe essere utilizzato in ben altri contesti. Ecco perché l’indiscrezione del New York Times sulla possibile apertura di Putin a un accordo, con cui tirare una linea sul terreno e consolidare le posizioni, può essere letta come una mossa in vista delle presidenziali.
Ciononostante, da qui ad affermare che siamo prossimi a una pace in Ucraina ce ne passa. Bisognerà vedere quanto Putin sia credibile e quanto, invece, non stia agendo da spietato stratega come sempre. Da comprendere è anche il modo in cui verrà recepita una simile proposta dall’Occidente, con gli americani che hanno visto dei segnali incoraggianti già da diverso tempo: alcuni, come il generale ed ex capo di stato maggiore dell’esercito Mark Milley, avevano suggerito al presidente Volodymyr Zelensky di trattare; altri invece ritenevano non fosse ancora il momento. Certo è che per gli ucraini non lo sarà mai fin quando anche solo un soldato russo rimarrà sulla loro terra, da liberare centimetro per centimetro. E già qui potrebbero arenarsi le possibilità di un accordo.
Per l’esperta di Ispi, non c’è sorpresa nel leggere quanto scritto dal quotidiano statunitense. “Più di una volta la posizione russa è stata quella di negoziare un accordo, ma che vada bene a loro. Mosca è sempre stata aperta ma alle sue condizioni, ed è chiaro come un’intesa che piace alla Russia non può piacere all’Ucraina. L’avvicinarsi delle elezioni può rappresentare uno stimolo in più. Gli farebbe comodo almeno un cessate il fuoco alle sue condizioni, anche se sappiamo che non ha bisogno di questi espedienti per essere eletto. Ma non aspettiamoci flessibilità: a parole i russi sono aperti, nei contenuti invece sono rigidi”.
Anche perché c’è da ragionare sul lungo periodo. Il timore è che il tempo lasciato a Putin gli permetterà di ricostruire le fila del suo esercito, per riprovare la sua offensiva fra qualche tempo. All’allarme (forse un pochino esagerato) lanciato qualche giorno fa dal servizio di intelligence tedesco sulla possibilità che la Russia attacchi Moldavia e paesi Baltici entro la fine del decennio in corso, è seguito quello del servizio segreto europeo, convinto che Mosca potrebbe tentare un’offensiva contro l’Europa nell’inverno a cavallo tra il 2024 e il 2024. A scriverlo è la Bild, evidenziando come quello sarebbe un periodo durante cui gli Stati Uniti potrebbero ritrovarsi senza un leader e quindi incapaci di difendere gli alleati.
Mentre a guidare la Russia sarà sicuramente Putin, visto che le prossime elezioni sono già scritte. Ma Duntsova promette di porre fine al dominio dello Zar. “Comprendiamo perfettamente cosa potrebbe accadere”, aveva dichiarato prima di presentare la candidatura, consapevole degli ostacoli che avrebbe incontrato. “Se non dovessimo essere in grado di presentarci al primo tentativo, proveremo una seconda volta e così via”.
(da Huffingtonpost)
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