LILIANA SEGRE: “ERO UNA RICHIEDENTE ASILO PRIMA DI FINIRE AD AUSCHWITZ”
LA SENATRICE A VITA. “SI STA TORNANDO A PESANTI DISCRIMINAZIONI, PREOCCUPA L’INDIFFERENZA”
“Quando mio padre decise — troppo tardi, purtroppo — la fuga dall’Italia, siamo stati dei richiedenti asilo respinti dalla Svizzera al confine. Eravamo io, mio padre e due cugini. Di noi quattro, solo io alla fine sono sopravvissuta. Poi siamo stati arrestati — io avevo 13 anni — e detenuti nei carceri di Varese, Como e Milano San Vittore. E infine deportati ad Auschwitz. A 14 anni ho fatto un anno di lavoro-schiavo in una fabbrica di munizioni della Siemens. Sono stata liberata nel maggio 1945, dopo essere stata bambina in una situazione che neppure Primo Levi riesce a descrivere, tanto che scrive: ‘Auschwitz è indicibile'”.
Lo racconta, in un’intervista al Fatto Quotidiano, la senatrice a vita Liliana Segre, 88 anni.
Segre ricorda l’indifferenza della Milano di allora, e si dice preoccupata per quello che sta accadendo oggi in Italia:
“Lì sotto (dal binario 21 della Stazione Centrale di Milano) partimmo in centinaia, nell’indifferenza della città […]. Oggi ci sono spiriti che tentano di non essere indifferenti. Ma, come sempre, sono pochi a fare le scelte. La massa non sceglie, è indifferente […].
Il clima — prosegue la senatrice a vita — è peggiorato. Oggi c’è una cosa diversa dall’indifferenza di allora.
Sono passati 80 anni dalle leggi razziste e il razzismo è minimizzato, è tollerato, c’è il pericolo di tornare a forme pesanti di discriminazione”.
Segre racconta anche cosa l’ha spinta — e quando — a raccontare la sua storia:
“Ho taciuto per 45 anni. Dai miei 15, compiuti pochi giorni dopo il mio ritorno, fino a quando, a 60 anni, sono diventata nonna. Allora qualcosa mi ha spinto a parlare. Senza odio. Cercando di parlare non troppo di morte, ma il più possibile di vita. Mi ha spinto il fatto che avevo vinto su Hitler, ero diventata mamma, e persino nonna: aveva vinto la vita. Così ho deciso di non restare più chiusa in casa, ma di testimoniare ciò che avevo vissuto perchè restasse memoria. Ho capito che mi era uscita la voce”.
(da “Huffingtonpost”)
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