L’IRRESPONABILITA’ E IL CINISMO DI DJOKOVIC: COMUNQUE FINISCA LA VICENDA, FINIRA’ MALE
LA SUA COLLOCAZIONE POLITICA E’ NOTA
Comunque finisca, finirà male, almeno nei tempi brevi.
Male per Novak Djokovic che diventa il massimo testimonial globale dell’ottusità e della pervicacia no vax, al limite dell’autolesionismo; male per le potenti associazioni dei tennisti professionisti, ATP e WTA, che non riescono a definire regole accettate e rispettate dallo sconosciuto iscritto a un Challenger colombiano e dalla star che incassa milioni di dollari; male per gli organizzatori degli Australian Open, responsabili di aver promesso al serbo un posto in tabellone a fronte di un certificato medico d’incerta validità; male per il tennis che, senza avere a disposizione sostituti all’altezza, rischia di perdere anzitempo l’unico senza acciacchi dei quattro straordinari dominatori dell’ultimo ventennio.
Non ne escono bene nemmeno le istituzioni australiane, divise e incerte sull’applicazione dei durissimi protocolli che regolano l’ingresso nel paese, più volte censurati dagli organismi internazionali di controllo e garanzia.
Ho appiattito le chiappe sulle poltrone, le seggiole e i gradoni degli slam, dei Masters, delle ATP Finals, delle Davis, delle FedCup e perfino di qualche Future, ho scritto commenti di partite e storie di tennisti e, quando non ho potuto andare di persona a seguire i match, ho consumato gli occhi davanti alla tv, come farò da domani notte per le dirette da Melbourne.
Mai mi sono sentito tanto a disagio come in queste ore per la tensione addirittura geopolitica innescata dal rifiuto del numero 1 ATP di vaccinarsi e dalla pretesa di partecipare comunque agli Australian Open, ma soprattutto perché il caso Djokovic sta deflagrando come una bomba nel circuito tennistico professionistico, caratterizzato da una meritocrazia squilibrata che premia a dismisura i tennisti più forti e penalizza chi ha meno qualità o mezzi.
I primi venti giocatori al mondo incassano, tra tornei e sponsorship, più dei colleghi piazzati tra il ventunesimo e il centesimo posto del ranking, che a loro volta portano a casa somme che, tutti insieme, gli altri 900 con almeno 12 punti ATP non riescono a raggranellare.
Consentire adesso al più ricco tennista di tutti i tempi di eludere le norme anti pandemiche australiane introduce un elemento di ingiustizia forse insopportabile, non foss’altro perché pochi possono permettersi un collegio di legali dedicato a opporre al governo federale le ragioni per le quali a un campione non vaccinato potrebbe fare quanto è proibito a un cittadino non vaccinato.
Se ne è in parte fatto portavoce Stefanos Tsitsipas, attuale numero 4 al mondo: “Ci sono due punti di vista. Da una parte quello di chi seguito le regole per giocare il torneo. Dall’altro c’è qualcuno che ha preferito seguire la sua strada e che fa passare gli altri per stupidi”.
A scanso di equivoci, dichiaro la mia passione diokovicciana in termini sportivi: considero il serbo il più completo giocatore dell’era moderna, l’unico in grado di puntare al Grande Slam –
Per tutto questo la vicenda che lo vede contrapposto all’esecutivo di Canberra mette in luce tratti di irresponsabilità che lasciano esterrefatti.
A meno che Djokovic stia puntando a modificare e allargare la propria identità pubblica all’ambito extrasportivo con l’obiettivo di sfruttarla presto in patria o addirittura a livello internazionale.
Della sua collocazione politica s’intuisce parecchio leggendo le cronache: ha dichiarato di considerare il Kossovo parte integrante della Serbia e s’è lasciato fotografare a un matrimonio accanto all’ex-braccio destro di Ratko Mladic, condannato all’Aja in quanto responsabile del genocidio di Srebrenica. Suo padre Srdjan ha detto giorni fa che “Novak è la Serbia e la Serbia è Novak”.
Dalla pandemia e da Melbourne potrebbe dunque prendere le mosse la carriera di un leader al quale il tennis sta ormai stretto. Non solo irresponsabilità ma anche cinismo. Spero di sbagliarmi.
(da Huffingtonpost)
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