L’ITALIA INVECCHIA, SI RISCHIA UN BUCO DI OLTRE 100.000 LAVORATORI ALL’ANNO DA QUI AL 2030
DISOCCUPATI E NET SONO UN BACINO DA ATTIVARE
Da qui al 2030 saluteranno le loro scrivanie, fabbriche o luoghi di lavoro oltre mezzo milione di persone all’anno. Uomini e donne che, compatibilmente con le strette sul pensionamento in atto, diranno addio ai colleghi e al cartellino per ritirarsi dal lavoro. Il problema è che la loro sostituzione sarà difficile: le fette di popolazione più giovane che avanzano garantiscono l’afflusso di 400mila nuovi lavoratori e rischia così di aprirsi un “buco” da più di 100mila lavoratori all’anno.
Non è un quadro sereno quello che emerge da una nota di approfondimento di Prometeia, società di consulenza e analisi economica, soprattutto alla luce di quel che già sta accadendo per alcune aziende: manodopera sempre più difficile da reperire, soprattutto se si alza l’asticella nel campo di quella “specializzata”. Il problema, evidenziano gli economisti, non è più tanto una questione di prospettiva, dei decenni a venire. E’ un problema dell’oggi, che riguarda anche la possibilità di mettere a terra gli investimenti del Pnrr e affrontare la transizione tecnologica, la digitalizzazione, il cambiamento climatico.
Che siamo una popolazione in invecchiamento l’ha certificato anche l’ultimo rapporto Istat. Se si prende solo la porzione di 15-64enni, quelli che compongono statisticamente la popolazione in età lavorativa, ne abbiamo persi 1,8 milioni dal 2012, nonostante l’apporto dell’immigrazione. Ora che i baby-boomers, nati negli anni Cinquanta e Sessanta, stanno uscendo dai radar dell’occupazione, il bilancio tra ingressi e uscite dalla forza lavoro rischia di diventare molto negativo.
Per altro, l’equilibrio del sistema è minacciato quando il flusso si guarda più da vicino. Una lente per osservarlo è quello del livello di educazione/formazione dei lavoratori. Si apre qui un “mismatch” importante sul fronte delle persone con scarse qualifiche: molte sono concentrate nelle fasce d’età più prossime alla pensione, mentre i giovani – seppure ancor poco rispetto al resto d’Europa – hanno titoli di studio più alti
Certo, l’evoluzione tecnologica dei processi produttivi e dell’erogazione dei servizi dovrebbe alimentare la domanda di lavoro qualificato e in un certo senso smussare questo spigolo, che resta comunque sul tavolo. C’è poi la lente settoriale. L’industria fa infatti il 25% dell’occupazione maschile, solo il 12% di quella femminile. Nei servizi – tolti commercio e ospitalità – trova lavoro il 68% delle occupate donne. Anche questi squilibri rischiano di pesare sui meccanismi di sostituzione.
Disoccupati e neet, argomenta ancora Prometeia, sono un potenziale bacino da cui attingere per sopperire al problema. Ma non è così semplice: molti dei due milioni di disoccupati italiani sono in una posizione estremamente debole, difficile che possano rispondere attivamente alla richiesta delle aziende.
(da agenzie)
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