MARINO BEFFARDO SI DIMETTE: “MA HO 20 VENTI GIORNI PER RIPENSARCI”
DOPO IL TUTTI CONTRO UNO, MARINO EVITA LA MOZIONE DI SFIDUCIA MA NON E’ DETTO CHE ORA SI SILENZI
Ignazio Marino non è più sindaco di Roma. Il primo cittadino si è arreso dopo una giornata frenetica.
«Tutto il mio impegno ha suscitato una furiosa reazione. Sin dall’inizio c’è stato un lavorio rumoroso nel tentativo di sovvertire il voto democratico dei romani. Oggi quest’aggressione arriva al suo culmine», scrive il sindaco, nel messaggio in cui motiva la sua decisione.
E continua: «Esiste un problema di condizioni politiche per compiere questo percorso. Queste condizioni oggi mi appaiono assottigliate se non assenti. Per questo ho compiuto la mia scelta: presento le mie dimissioni».
«POTREI RITIRARLE ENTRO 20 GIORNI»
Delle dimissioni che potrebbero essere ritirate. «Presento le mie dimissioni. Sapendo che queste possono per legge essere ritirate entro venti giorni», aggiunge Marino. «Non è un’astuzia la mia – assicura – è la ricerca di una verifica seria, se è ancora possibile ricostruire queste condizioni politiche».
Nella lettera il sindaco fa anche riferimento alle critiche sulle spese : «Nessuno pensi o dica che lo faccio come segnale di debolezza o addirittura di ammissione di colpa per questa squallida e manipolata polemica sulle spese di rappresentanza e i relativi scontrini successivamente alla mia decisione di pubblicarli sul sito del Comune».
E conclude: «Non nascondo di nutrire un serio timore che immediatamente tornino a governare le logiche del passato, quelle della speculazione, degli illeciti interessi privati, del consociativismo e del meccanismo corruttivo-mafioso che purtroppo ha toccato anche parti del Pd e che senza di me avrebbe travolto non solo l’intero Partito democratico ma tutto il Campidoglio».
LA PRESSIONE DI PD E SEL
Nelle ultime ore l’avevano lasciato anche il vice sindaco Marco Causi e due assessori Stefano Esposito (Trasporti) e Luigina Di Liegro (Turismo).
Il primo cittadino aveva provato a resistere: «Chi non difende la mia giunta vuole rimettere la città nelle mani dei mafiosi». Ma la pressione di Pd e Sel, pronti a sfiduciarlo, è stato troppa. «È finita. Si va a casa», confermavano fonti del Partito democratico.
Nel pomeriggio c’è stato anche l’incontro tra il commissario del Pd Matteo Orfini e il segretario Sel Paolo Cento. Di fronte al ritardo delle dimissioni di Marino i due avevano concordato la linea dura: sfiduciare in Aula il primo cittadino.
CHE SUCCEDE?
Renzi, dopo mesi di accelerazioni e frenate, ha deciso di abbandonare il sindaco. «Marino fuori controllo, se non ci garantisce più neanche la figura di sindaco onesto e integerrimo che si era costruito in questi mesi, e per la quale gli abbiamo perdonato di tutto, allora per Marino siamo al game over», commentavano ieri dall’«unità di crisi» informale messa in piedi dai dem per Roma.
Palazzo Chigi conta ora di affidare alla tutela del prefetto Franco Gabrielli la traversata fino alle elezioni del 2016.
Il nome che gira con maggior insistenza per il dopo-Marino è quello di Matteo Orfini, commissario del partito per Roma.
Non la prima scelta dei vertici Pd che, anche in chiave anti-Cinquestelle, vorrebbero puntare sul vicepresidente della Camera Roberto Giachetti.
Ma il diretto interessato ha fortemente e ripetutamente smentito di volersi candidare, lasciando poche alternative a Orfini. Anzi, una sola: lo stesso prefetto Gabrielli.
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