MARIO DRAGHI, C’E’ QUALCOSA CHE NON VA
VACCINI LENTI E RABBIA SOCIALE, IL PREMIER FATICA A IMPRIMERE UN CAMBIO DI PASSO
Sono passati solo 10 giorni da quando Mario Draghi ha evocato l’esigenza di tornare a provare il “gusto del futuro”. Una esortazione precisa e pregna di significato, indirizzata non solo ai governatori regionali a cui era specificamente rivolta ma un po’ a tutta la classe dirigente del paese, inclusi imprenditori e politici, travolti dalla navigazione a vista imposta dalla pandemia.
Un appello a tornare a programmare e soprattutto rischiare, chiave per far ripartire l’economia, proteggere la salute e tornare a una vita quanto più normale possibile. Ebbene, a 10 giorni di distanza, quello che purtroppo sembra essersi impantanato nelle sabbie mobili dell’eterno presente è proprio il Presidente del Consiglio.
Il mese di aprile infatti è per lui sicuramente il più difficile, intrappolato com’è nelle due questioni dalle quali al momento non si vede una via d’uscita: la campagna vaccinale che arranca e le rabbia sociale che monta.
Delle due, i vaccini sono certamente la croce senza delizia che angoscia le notti del premier. Per dare una vera svolta e arrivare presto a una vaccinazione di massa servono dosi e purtroppo dosi non ne arrivano, o ne arrivano col contagocce.
Se tutto andrà bene, e non è detto, ad aprile ne verranno inviate in Italia solo 8 milioni, più o meno la stessa cifra di marzo: basti pensare che per l’intero trimestre il commissario Figliuolo ha previsto di fare affidamento su 50 milioni, quindi fra maggio e giugno ne dovrebbero essere consegnate 42 milioni, cifra che per ora somiglia più a un atto di fede che a una concreta previsione.
Come se non bastasse, il governo poi deve anche fare i conti con la grana Astrazeneca: se sarà costretto a limitarne l’utilizzo agli over 60 – come già hanno fatto Germania, Francia, Olanda e altri -, si aprirebbe un’altra falla nella campagna, visto che la maggior parte delle dosi previste da qui fino a fine estate sono proprio a marchio Astrazeneca. Insomma, se ora si va lenti, non c’è nessuna garanzia che nei prossimi mesi si possa accelerare in maniera decisa. Purtroppo.
Altra questione a cui non è semplice trovare una soluzione sono le proteste sociali. Al netto degli infiltrati di destra e dei personaggi folcloristici come lo sciamano modenese, le piazze pongono un problema serio: gli aiuti a pioggia da soli non bastano più per tenere buoni le categorie più colpite dalla pandemia (anche se stiamo parlando, giova ricordarlo, di categorie che non sono così ligie quando stilano le dichiarazioni dei redditi come invece quando chiedono sussidi statali).
Ma Draghi è bloccato in questa opera di programmazione dai dati implacabili del contagio: la curva sta scendendo troppo lentamente e l’unico tesoretto per le riaperture è stato speso tutto per la scuola.
Quindi è molto probabile che il dibattito su chi far ripartire e chi no si protrarrà stancamente nei prossimi giorni mentre tutti sanno che prima del 3 maggio nulla cambierà nella sostanza.
Il problema è che da qui al 3 maggio ci sono altre 4 settimane da impiegare per cercare di governare questi due fenomeni. E se Draghi non vuole che la sua corsa s’inchiodi al primo ostacolo, si deve inventare qualcosa per arrivare a un cambio di passo . Altrimenti quel “gusto del futuro” rischia di scadere nel sapore stantio di uno stagnante presente.
(da Huffingotonpost)
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