MARONI OSCURA BOSSI, TACE SU ALLEANZE ED ELEZIONI, MA LA PIAZZA NON LO PREMIA
A VENEZIA SI PRESENTANO IN 12.000 AD ASCOLTARE IL NUOVO SEGRETARIO: I TEMPI DI 50.000 PRESENZE SONO LONTANI… TRA UN PASSATO SCOMODO, UN PRESENTE INCERTO E UN FUTURO SENZA UNA STRATEGIA DI ALLEANZE
«Guardatelo questo popolo meraviglioso, mai visto tanta gente, militanti che solo noi abbiamo. Vi voglio bene!». Roberto Maroni, dal palco, suona una musica dolce. Quanti siete, quanti siamo. L’orgoglio padano si commuove, Maroni anche.
E si capisce che dev’esser stato un incubo, questo raduno veneziano.
Il primo con Maroni segretario della Lega, il primo con Umberto Bossi che se ne sta in disparte, rispetterà i patti e 20 minuti di microfono li avrà pure lui: il tempo per chiamare qualche fischio contro Giorgio Napolitano e lucidare una delle sue frasi più logore e stanche: «Sta venendo il tempo della grande battaglia…».
E invece sta arrivando il tempo delle elezioni e la Lega non sa cosa mettersi.
Non ne parlerà nessuno, nemmeno Maroni.
Meglio consolarsi sul quanti siamo, anche se sui numeri c’è qualche pasticcio. 12 mila, dice l’agenzia Ansa.
«Il 20% più dell’anno scorso», precisano dalla Lega.
Solo che nel 2011 ne avevano annunciati ben 50 mila, e dunque meglio lasciar perdere.
Rimane che il gran ripetere «una piazza così piena non l’ho mai vista» (Roberto Calderoli) magari si scontra con la buona memoria di un vecchio parlamentare leghista come il veronese Enzo Flego: «Una volta qui non entrava più uno spillo, ora c’è posto per tutti».
È che forse è proprio vero, la grande paura è passata. «La Lega c’è, è viva, è pronta a combattere», può concludere Maroni.
E allora avanti con l’elenco delle medaglie e dei nemici. «Siamo l’unica forza politica che si oppone al governo di FalliMonti», «La riforma della lacrimevole ministro Fornero è un obbrobrio che va cancellato», «Siamo il Paese con la più alta pressione fiscale», «Non vorrei che questo governo volesse mandare dei Podestà al posto dei Prefetti», «Mandare 900 milioni di euro per ripianare i debiti della Sicilia è uno scandalo», «Roma è contro il Nord, mette il freno a mano e inserisce la retromarcia».
L’altra settimana Maroni era al Lingotto di Torino, a parlare con gli imprenditori. Adesso, in Riva dei Sette Martiri, ha una platea ben diversa, c’è sempre l’allegrone con le corna, la vamp romagnola tutta di verde vestita, quello che ha perso qualche puntata e grida «Secessione!».
E poi, sul palco, ci sono i maggiorenti della Lega, magari gli stessi che un anno fa l’avrebbero buttato in Laguna, Maroni.
Sarà anche per questo che una delle frasi più ripetute, e da Bossi e da Maroni, è «la Lega deve restare unita, niente risse interne, compattezza massima».
Ma se è così unita che bisogno c’è di insistere tanto?
È la «Festa dei Popoli Padani», è l’anniversario della Battaglia di Lepanto, 1571, quando la flotta della «Serenissima» fermò il Turco invasore.
I leghisti veneti hanno tanta nostalgia.
«La Lega è nata a Lepanto», arriva a dire Giampaolo Gobbo, il sindaco di Treviso. Flavio Tosi, sindaco di Verona, se la prende con «i ladri di Roma, quei figli di puttana che hanno sempre governato e fanno le feste con la faccia da maiali».
Luca Zaia, il Governatore è più soave: «Non mi scandalizzo se i veneti vogliono un referendum sulla loro autonomia. Io non ho mai incontrato un veneto che mi dice di essere innamorato di Roma…».
Così il pontile all’attracco su Riva degli Schiavoni diventa la passerella per la collezione autunno-inverno della Lega.
I modelli, per la verità , non sono nuovissimi.
Come il referendum sull’Euroregione a statuto speciale che si trattiene il 75% delle tasse.
Oppure «via Equitalia dal Nord», «e i nostri sindaci dovranno passare ad azioni di protesta fiscale, alla disobbedienza civile». E «Coraggio, riprendiamoci il futuro!».
Al tempo, però: «Ne parleremo con i nostri sindaci entro un mese, qui in Veneto», dice Maroni, forse dimenticando d’averlo già annunciato a luglio, quando il vecchio Bossi è diventato un ex segretario in pensione.
Anche quella di Maroni resta una Lega che parla al futuro.
Il passato è scomodo: quante ne hanno dette, e non ne hanno fatte.
Il presente è incerto: ha solo sfiorato l’argomento elezioni, Maroni, invitando a diffidare di «personaggi che sono in politica da quando la Lega non c’era».
È sembrato un riferimento all’allor giovine democristiano Matteo Renzi.
Un guaio, se vincesse le primarie Pd.
Sarebbe per tutti una sfida tra il nuovo e il vecchio, e per i leghisti che sono in Parlamento da più di 20 anni sarebbe il si salvi chi può.
Ma tanto, come dicono da 16 anni da questo palco, «a noi le cadreghe non interessano».
O no?
Giovanni Cerruti
(da “La Stampa”)
Leave a Reply