MASSIMO CACCIARI: “MA LA VERA RIFORMA NON È IL SENATO, SONO LAVORO, SANITA’ E SCUOLA”
“MAI UNA RIFORMA ELETTORALE ERA STATA AFFRONTATA PER ASSICURARE LA GOVERNABILITA’ ATTRAVERSO LA STESSA FORMA DI GOVERNO CHE SI PREDICA DI VOLER TRASFORMARE”
Tra le parole che in questi anni sono diventate spugne succhia-tutto svetta quella “riformismo”.
Tutti per le riforme: necessarie, urgenti, ovunque e comunque, senza se e senza ma.
Una volta riformismo significava: l’analisi delle trasformazioni sociali e dei rapporti di produzione costringe al superamento di vecchi assetti politici e istituzionali, alla ricerca di forme di rappresentanza coerenti con i ceti, gli interessi e le culture emergenti.
Sotto il segno di questo riformismo hanno avuto luogo svolte e conflitti decisivi del “secolo breve”, grandi “battaglie culturali” all’interno del socialismo europeo.
Forse con qualche concessione all’ideologia “che-sa-dove-va-il-mondo”, ma certo non con retoriche delle quali non si capisce il destinatario e che non presentano alcuna relazione logica tra le loro diverse “grida”.
Mai si era visto discutere di riforma delle assemblee rappresentative in assenza di qualsiasi prospettiva in materia di esecutivo.
Mai il problema istituzionale era stato considerato, dai “riformisti”, a prescindere dagli interessi concreti che si riteneva di dover rappresentare.
Mai una riforma elettorale era stata affrontata per garantire la “governabilità ” attraverso la medesima forma di governo che si predica di voler trasformare!
La confusione regna sovrana sotto il cielo, e ciò potrebbe,senza ironia, essere anche salutato come un buon segno.
Difficile nascere tutti armati come Minerva dal cervello di Giove. Ma si mettesse finalmente mano a quelle riforme, che sono le sole a interessare davvero gli italiani! Possibile affrontare seriamente il capitolo “risorse umane” con insegnanti sottopagati, programmi arcaici, università pubbliche totalmente burocratizzate?
A quando l’applicazione dei costi standard alla sanità ?
E per il lavoro? Probabilmente sono decine di migliaia i posti disponibili per giovani anche nel settore manifatturiero, ma per sbloccarli non basta qualche incentivo fiscale, occorrono solidi, credibili ammortizzatori e programmi di recupero per quei lavoratori che il salto tecnologico ha reso anzitempo “maturi”.
Bene gli 80 euro — e ora? (A proposito, grande scoperta che gli 80 euro non sono finiti nei supermercati. Sono finiti a pagare le maggiori tasse di ogni tipo, soprattutto a livello locale).
Un piccolo sospetto: perchè tutto il dibattito incentrato su Senato, Titolo V e via dicendo, invece che su queste questioncelle?
Forse si pensa (o si pensava) che su Senato, ecc., fosse più facile portare a casa la palma della vittoria… Berlusconi garante.
Perchè sulle vere riforme, alla cui logica dovrebbe accordarsi quella istituzionale, latitano non solo le decisioni,ma anche la discussione?
Questa domanda riguarda il cuore stesso della nostra Costituzione. Essa è progressiva poichè impegna esplicitamente a rimuovere tutti gli ostacoli che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, uguaglianza di condizioni nell’usufruire dei servizi fondamentali e nell’accesso al lavoro (articoli 3 e 4).
La Costituzione intende la partecipazione dei cittadini alla vita politica in questo senso: come battaglia per la realizzazione di queste condizioni di reale uguaglianza.
Ma chi avrebbe dovuto condurla? Nello spirito dei costituenti è del tutto evidente che avrebbero dovuto essere le forze politiche, i partiti in primis. Il venir meno della forza propulsiva della Carta coincide con il collasso del sistema dei partiti, con la loro impotenza a auto-riformarsi.
La Carta pensava che attraverso la discussione e elaborazione strategica al loro interno sarebbero emersi i programmi concreti di riforma volti a “rimuovere gli ostacoli” che impediscono “il pieno sviluppo della persona umana”.
Non certo da individualità carismatiche o da “grida” populistiche.
Se non comprendiamo questo spirito della Costituzione, possiamo modificare altre mille volte il Titolo V, senza che i disoccupati diminuiscano di una unità o un giovane laureato in più cessi di dover “pregare” per un lavoro( e cioè di essere precarius).
Massimo Cacciari
(da “L’Espresso”)
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