MATTARELLA, ALLA CERIMONIA PER IL GIORNO DELLA MEMORIA AL QUIRINALE, FA UN DURISSIMO RICHIAMO ANTIFASCISTA PARLANDO DI “SUPERFICIALI OPERAZIONI DI NEGAZIONE O DI RIDUZIONE DELLE COLPE”
POI INFIERISCE CON UNA CONDANNA DEI SALUTI ROMANI DI ACCA LARENTIA (E NON SOLO)… LA PREMIER E LA SECONDA CARICA DELLO STATO, IN SALA, SONO NERVOSI E IN IMBARAZZO, ED EVITANO DI INCROCIARE I GIORNALISTI
«Non c’è torto maggiore… che annegare in un calderone indistinto le responsabilità… o compiere superficiali operazioni di negazione o di riduzione delle colpe». Ecco l’attimo. Le teste di Giorgia Meloni e Ignazio La Russa restano sospese a mezz’aria. Il collo della premier pende verso sinistra, quello del Presidente del Senato a destra. I busti disegnano una “V”.
I due restano così per almeno cinque minuti. Posizione di difesa. Di sofferenza. Pietrificati. Soltanto La Russa infrange per un secondo la posa. Succede quando il Capo dello Stato dice che a Salò i repubblichini contribuirono a sterminare gli ebrei. La nuca del fondatore di Fratelli d’Italia oscilla come un pendolo, mentre si parla dei ragazzi di Salò.
Nel linguaggio del corpo potremmo tradurre: «Non è andata esattamente così». Osservare il corpo, le reazioni, gli scatti e i sospiri di Meloni e La Russa, attentamente. a un metro o due da Mattarella. E d’altra parte, se su Acca Larentia nessuno si espone e molti fischiettano, se la parola Resistenza è bandita e il fascismo “male assoluto” sembra un tabù, non resta che aggrapparsi alla cinesica per studiare gli effetti del discorso antifascista del Presidente sulla destra, che governa con la fiamma nel simbolo e nel cuore
All’inizio tutto sembra procedere per il meglio. Giorgia Meloni si commuove quando parla Sami Modiano, applaude il passaggio di Mattarella sui «giusti». E annuisce su Giorgio Perlasca, la vergogna dei campi di sterminio e del razzismo. Anche La Russa annuisce, sereno. Poi, l’imponderabile.
«Riduzione delle colpe», dice il presidente della Repubblica. «Superficiali operazioni di negazione». Ha di fronte la seconda carica dello Stato, che mesi prima aveva detto: «Via Rasella è stata una pagina tutt’altro che nobile della Resistenza, quelli uccisi furono una banda musicale di semi pensionati e non nazisti delle SS». Imbarazzo, profondo, in sala. Sguardi, silenzio.
Mattarella non si ferma, chiede di indagare «le motivazioni che spingono numerose persone a coltivare in modo inaccettabile simboli e tradizioni di ideologie nefaste». Tutti pensano ad Acca Larentia, forse anche alla fiamma, di certo a quelle braccia tese. Sono trascorsi venti giorni da quel corteo, la premier non ha trovato il modo di commentare l’accaduto (mentre Fabio Rampelli, ieri, ha parlato di «vergogna» per il fascismo e di distanza siderale dai saluti romani).
La scena si scongela dopo alcuni minuti. Il Presidente torna a parlare di Israele, Hamas, Gaza. La “V” si scioglie, come i muscoli dei ministri in prima fila. L’unico davvero tranquillo sembra Guido Crosetto, che di solito festeggia il 25 aprile e lo fa anche sapere.
Resta un problema, però: i cronisti. Sono a pochi passi da Meloni e dagli altri. È il giorno per poter chiedere: era davvero il male assoluto? E siete voi quelli che ridimensionano, che affogano nel calderone? La più svelta a capire tutto è Patrizia Scurti, ombra della premier, segretaria particolare a capo dello staff. Sorride mentre prende posizione tra i corpi, scavalca le linee, raggiunge la leader.
Attende che Mattarella abbia finito di stringere la mano della presidente del Consiglio e di La Russa. Poi li conduce via, veloci e imprendibili. Meloni potrà non dire, oggi. Come il presidente del Senato. Qualche giorno fa hanno provato a chiedergli: «Ma dirsi antifascista proprio no, è impossibile?». E lui, serio, ha spiegato: «Se mi chiedono se sono fascista, rispondo secco: no, non sono fascista. Ma non sono antifascista».
(da agenzie)
Leave a Reply