“MATTEO, SEI ARROGANTE E NON ALL’ALTEZZA”: CUPERLO E SPERANZA AFFONDANO SU RENZI
IL PREMIER STAVOLTA NON REPLICA A TONO, E’ IN DIFFICOLTA’
“Oggi abbiam segnato un punto”, sussurrano quelli della minoranza dem, all’uscita dalla direzione.
I numeri della votazione sono impietosi come previsto, 13 contrari alla relazione di Renzi e 98 a favore.
E tuttavia quelli della sinistra, quasi increduli, escono dal Nazareno sorridendo. “Dopo quello che gli avevamo detto, ci aspettavamo una replica da asfaltatore, e invece niente…”.
Quattro lunghissime ore di direzione, duello all’ultimo colpo su trivelle e sinistra, inchieste, Costituzione, referendum, primarie, ruolo del leader.
Cuperlo arriva sul podio una mezz’ora dopo il leader, parte con una battuta su “questo attivo dedicato all’energia, prima o poi faremo anche una direzione…”. Poi va in crescendo, e sembra quasi di sentire D’Alema: un attacco dopo l’altro, fino alla botta più dura, e inattesa: “Non ti stai mostrando in questa fase all’altezza del ruolo che ricopri. Non mostri la statura di un leader, anche se a volte coltivi l’arroganza dei capi. Questo può fare il danno del Pd”.
Gelo in sala. “Sento il peso di stare in un partito che non ha molto delle ragioni che me lo ha fatto scegliere”.
Poco dopo Roberto Speranza è altrettanto ruvido: “Quando ho detto che non avremmo mai votato la mozione di sfiducia molti compagni mi hanno scritto per protestare, dicendomi che non ne possono più: devi prendere coscienza che una parte del popolo di sinistra non ti capisce”.
E ancora: “La segreteria di Renzi è stata del tutto insufficiente, non ha saputo fare del Pd una comunità ”.
Il tema dell’astensione al referendum pesa, ma non è il punto dominante. Certo, quel manifesto della Quercia che invitava all’astensione nel 2003 sull’articolo 18, mostrato da Renzi alla direzione, è stato vissuto come una provocazione.
Ma, al fondo, sul quesito sulle trivelle il segretario ha già ammorbidito la linea da un paio di giorni: lui tifa per il mancato quorum, ma non vuole “puntare il fucile” contro chi andrà alle urne.
Più pesanti i temi del partito, il processo decisionale, e per Speranza il tema del petrolio lucano.
“Non bastano le dimissioni della Guidi, c’è il sospetto di un disastro ambientale, di veleno nella terra, su questo sono pronto a scatenare una guerra”, dice l’ex capogruppo.
Cuperlo è furioso da sabato scorso: in mattinata lui aveva invitato Guerini al suo seminario a Firenze per discutere di come riorganizzare il Pd, clima disteso, sorrisi. Poche ore dopo, alla scuola dei giovani Pd, Renzi auspicava di “spazzare via” le opposizioni al referendum costituzionale di ottobre.
“Chi dovrebbe rimanere dopo che hai spazzato via tutte le opposizioni? Questo è l’opposto dello spirito costituente. Non è il tuo referendum, ma un nodo per superare il bicameralismo: più lo personalizzi e lo carichi di significati impropri, più alimenti gli attacchi che vengono da fuori ma anche le ragioni di dissenso dentro il Pd”.
Sono mesi che l’ex sfidante alle primarie, in pubblico e in privato, sta pregando il premier di non fare del referendum di ottobre un plebiscito su se stesso.
La mossa di sabato, con la frase sulle opposizioni da spazzare via, l’ha molto scosso. “Io lavoro per evitare strappi, ma Renzi proprio non riesce a fare squadra”, si sfoga Cuperlo coi suoi.
L’appello del leader a fare squadra dunque non buca il muro del Nazareno.
Solo sulle comunali la minoranza annuncia di voler lavorare “tutti insieme”.
Su tutto il resto, a partire dal caso Tempa Rossa, le distanze sono enormi. “Chi governa deve dare risposte, invece di dire queste cose contro i magistrati”, protesta il bersaniano Davide Zoggia.
Nella replica Renzi risponde punto su punto: a Speranza manda a dire che “quell’emendamento era stato discusso in Parlamento”, a Cuperlo che “io ho una idea di sinistra credibile, possibile, moderna e riformista, che è diversa dalla tua. Ma per me sinistra è creare lavoro”.
“Io inadeguato? Rispetto la tua opinione. Ma il nostro è un gruppo dirigente plurale, il giglio magico è una ricostruzione banale, il Pd è molto più forte di quello che pensate, sulle tasse da tagliare al ceto medio resto della mia idea”.
Renzi però non asfalta, anzi accusa il colpo: “Non è vero che ho attaccato la minoranza di fronte ai ragazzi della scuola Pd, ho detto loro che non esistono i renziani e chi si dice tale deve essere curato, ho detto che il partito è più grande della personalizzazione del leader…”.
Una excusatio che stupisce i big della minoranza, che si erano riuniti prima della direzione per mettere insieme la strategia, determinati a provocare la reazione rabbiosa del Capo.
Capitolo a parte il duello con Michele Emiliano, capofila del sì al referendum, che accusa Renzi di aver detto “bugie” sulle trivelle. “Mi devi ascoltare, guarda che io ti ho votato, non sono mica delle minoranza e ho i capelli bianchi”.
“Michele, sei meglio delle cose volgari che dici, come quando mi definisci venditore di pentole: noi ti vogliamo bene, non devi urlare per attirare l’attenzione, hai detto che alle europee ha votato il 48%, invece era il 58%, se citi i numeri devi studiare…”. Botte da orbi anche sul rischio di licenziamenti in caso di vittoria del sì, e sulle inchieste di Potenza: “Sei stato imprudente, oggi è arrivata una sentenza con condanne pesanti”, tuona il governatore della Puglia.
“La Costituzione dice che sei innocente fino alla Cassazione, mi meraviglio di te che sei un magistrato, rispettare le garanzie è di sinistra”.
Alla fine Emiliano vota no alla relazione del segretario: “Usa gli stessi argomenti dei petrolieri”. Così votano anche Cuperlo, Speranza, Bersani, Epifani.
All’uscita, il governatore pugliese spiega che “non è una questione personale tra me e Renzi, è una questione referendaria e io invito gli iscritti del Pd a votare sì”.
“Escludo una mia candidatura al congresso del Pd”, risponde sornione a chi gli domanda se stia preparando la sfida a Renzi.
Emiliano non sarà in partita, ma terrà banco fino al 17 aprile per invitare il popolo del Pd alle urne, l’esatto contrario di quello che ha chiesto il premier.
Che cita Prodi per sostenere il suo no, “la vittoria del sì sarebbe un suicidio”.
Niente, neanche la citazione del fondatore dell’Ulivo aiuta a placare gli animi. Anna Ascani tenta la carta del “fascismo” dei 5 stelle per serrare le fila: “Non c’è alterativa al Pd”. Ma la minoranza non segue.
D’Alema annuncia che martedì sera sarà a Otto e mezzo da Lilli Gruber: prevista un’altra scarica.
E in fondo il tema con cui la minoranza ha colpito in direzione è proprio quello sollevato dal “leader Massimo” nell’intervista di due settimane fa al Corriere: l’”arroganza”, lo stile del leader. Solo che, in questa fase, con i pm ad ascoltare la Boschi nelle stesse ore della direzione e a due mesi dalle comunali “che non saranno facili da vincere”, Renzi deve rinunciare all’asfaltatrice: “Il Pd lo abbiamo fatto grazie al lavoro di Walter, Pierluigi, Dario, Guglielmo”.
Elenca tutti gli ex segretari, compresi quelli rottamati. Una cosa assai inusuale per lui, abituato a tuonare contro “quelli di prima”, “quelli del 25%”.
“Gli italiani non ne possono più delle nostre discussioni interne”, dice quasi come in un appello. La minoranza incassa ma non depone le armi.
“Sul petrolio, vedrete, non gli daremo tregua”, assicura Speranza.
(da “Huffingtonpost”)
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