MDP, SGANCIAMENTO INIZIATO, IL VICE MINISTRO BUBBICO SI DIMETTE
ARTICOLO 1 ESCE DALLA MAGGIORANZA E VA VERSO L’APPOGGIO ESTERNO: “MANI LIBERE”
L’operazione di “sganciamento” dalla maggioranza è iniziata.
Alla fine della riunione coi senatori di Mdp, Roberto Speranza tira le conclusioni: “Non voteremo il Def. Da adesso, siamo fuori dalla maggioranza. Mani libere. Valuteremo provvedimento dopo provvedimento”.
E annuncia una raccolta di firme “nel paese” su sanità , lavoro.
E tutte le questioni su cui si aprirà un negoziato duro sulla manovra, dall’esito non scontato: “Dipende da quale richieste accolgono”.
Pochi minuti Filippo Bubbico, viceministro dell’Interno, ha annunciato che lascia il governo. È, di fatto, quello che una volta si sarebbe chiamato “appoggio esterno”: nessun vincolo di maggioranza, nessun membro del governo, si valuta caso per caso.
Lo sganciamento andrà in scena domani, giorno di votazioni delicate sui conti pubblici.
La prima votazione è sull’autorizzazione allo scostamento di medio termine del deficit, che richiederebbe la maggioranza assoluta (161).
E dunque, senza il voto di Mdp, non passerebbe, con la conseguente apertura della crisi di governo.
Su questa votazione il sì era di fatto acquisito da ieri, quando Pisapia lo ha detto al premier Gentiloni. L’altra votazione è sulla nota di aggiornamento al Def, che richiede la maggioranza dei presenti e dunque consente un po’ di gioco parlamentare.
Sia alla Camera sia al Senato i parlamentari di Mdp e di Pisapia non voteranno la Nota: “La relazione di Padoan — dice Speranza — è insufficiente, su sanità , pensioni e le questioni sollevate. Ha solo detto che incontrerà le forze di maggioranza per una interlocuzione politica”.
Tira un’aria pesante a sinistra. Riunioni a Montecitorio la mattina. Riunioni a palazzo Madama al pomeriggio, dove in senatori bersaniani sono spaventati dall’ipotesi della rottura estrema.
“Non possiamo farci bollare come i nuovi Bertinotti, facendo cadere il governo”. È questo l’oggetto delle riunioni dei gruppi, tese.
Perchè in questi casi la forma e il meccanismo parlamentare sono sostanza. Al Senato dichiarare l’astensione equivale a votare contro.
Il pallottoliere dice che, a quel punto, il governo sarebbe a rischio. Dice un senatore a microfoni spenti: “Alla fine si è deciso di non partecipare al voto, non di partecipare e astenerci perchè così il governo non cade ma usciamo dalla maggioranza”.
Lo spettro di Bertinotti si aggira tra gli ex Pd: apparire “settari”, “gruppettari”, “irresponsabili”, il famoso “non ci capirebbe nessuno”.
Elisa Simoni, toscana tosta, la spiega così: “Questa mossa è perfetta. Perchè ci consente di spiegare al paese quello che vogliamo, di esserci insomma. E di preparare lo smarcamento definitivo se il governo non ascolta”. Poco più un là Arturo Scotto è soddisfatto: “Chiarezza è fatta, ora si apre un’altra fase”.
Per tutto il giorno, al Senato, si fanno i conti col pallottoliere.
Al gruppo del Pd fanno notare che i numeri ci sono, perchè nessuno ha voglia di andare a votare e, si sa, in questi casi arrivano schiere di “responsabili”: i verdiniani, i senatori del misto, tanti uomini di buona volontà .
Ma il punto è politico. Il vertice con Pisapia, nelle intenzioni del premier, doveva servire proprio a blindare le votazioni di domani.
Invece, lo sganciamento sul Def non è un passaggio indolore. Perchè trasforma la manovra in un percorso a ostacoli, complicato. Poche risorse, col premier stretto tra le esigenze, anche elettorali, del segretario del Pd che non concederebbe nulla ai bersaniani e la necessità di far passare la manovra.
Il ministro del Tesoro Padoan, nella sua audizione in commissione, si è mostrato cauto, prudente, consapevole che ora inizia un delicato gioco parlamentare in sede di discussione della manovra e sarà in quella sede che si scopriranno eventuali carte coperte per trovare una quadra di maggioranza, non certo in una nota di accompagnamento.
Nè pare, al momento, aver sortito effetti il tentativo di separare Pisapia da Bersani&Co.
Forse anche perchè il momento della verità ci sarà al voto vero sulla manovra quando o si vota sì, o si vota no. Però i gruppi hanno votato all’unanimità . E all’unanimità domani non voteranno il Def.
(da “Huffingtonpost”)
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