MELONI & GIORGETTI, SIGNORSI’, SIGNORA EUROPA
FRANCIA E GERMANIA TROVANO L’ACCORDO SUL NUOVO PATTO DI STABILITA’, L’ITALIA SI ACCODA A MALINCUORE… POCHE LE CONCESSIONI A NOSTRO FAVORE, IL TEDESCO LINDNER E’ IL VEO VINCITORE DI UNA PARTITA CHE PER L’ITALIA NON E’ MAI INIZIATA… LA MELONI IN EUROPA NON CONTA UNA MAZZA, ALTRO CHE MINACCIARE VETI
La dinamica sul come si è arrivati al sospirato accordo sul nuovo Patto di stabilità e crescita si capisce anche dai tempi, oltre che dai modi, di reazione.
I ministri finanziari di Francia e Germania esultano un minuto dopo la fine della riunione straordinaria dell’Ecofin, oggi in videoconferenza. “Le nuove regole di bilancio per i Paesi membri dell’Ue sono più realistiche ed efficaci allo stesso tempo. Combinano cifre chiare per deficit inferiori e rapporti debito/Pil in calo con incentivi per investimenti e riforme strutturali. La politica di stabilità è stata rafforzata”, dice il tedesco Christian Lindner.
“Dopo due anni di negoziati abbiamo raggiunto un accordo storico a 27 sulle nuove regole del Patto di stabilità e crescita. È un’ottima notizia per la Francia e per l’Europa perché garantirà la stabilità finanziaria e il buon andamento dei conti pubblici in tutta Europa negli anni a venire”, festeggia il francese Bruno Le Maire, in un video messaggio subito dopo la riunione con i colleghi europei.
Giancarlo Giorgetti ci mette un po’ di più per trovare le parole adatte a spiegare perché, dopo le minacce di usare il veto per bloccare una riforma non convincente, dopo la dichiarazione sull’inopportunità di chiudere un accordo così storico in videoconferenza, il governo Meloni ha deciso di dire sì.
Il ministro dell’Economia non esulta. Più che esaltare l’intesa, Giorgetti lascia intendere che Roma non se l’è sentita di usare il veto. Anzi, a giudicare dal bottino magro che l’Italia porta a casa in termini di flessibilità e fine della contestata austerity che ha segnato l’Ue degli ultimi anni, la scelta di approvare l’accordo chiuso ieri sera da Lindner e Le Maire a Parigi è maturata più per l’opportunità di evitare l’effetto stigma che un no avrebbe avuto sull’Italia, sulla premier e il suo governo, che per la convinzione di aver ottenuto un buon compromesso.
E così Giorgetti si limita a sottolineare che nel nuovo Patto di stabilità ”ci sono regole più realistiche di quelle attualmente in vigore”. Ma poi lascia intravedere tutto il suo scetticismo: “Le nuove regole naturalmente dovranno sottostare alla prova degli eventi dei prossimi anni che diranno se il sistema funziona realmente come ci aspettiamo”.
L’ammissione: “Ci sono alcune cose positive e altre meno. L’Italia ha ottenuto però molto e soprattutto quello che sottoscriviamo è un accordo sostenibile per il nostro Paese volto da una parte a una realistica e graduale riduzione del debito mentre dall’altra guarda agli investimenti specialmente del Pnrr con spirito costruttivo”. Di fatto, “abbiamo partecipato all’accordo politico per il nuovo patto di stabilità e crescita con lo spirito del compromesso inevitabile in un’Europa che richiede il consenso di 27 Paesi’’.
Più chiaro di così. Pur avendo considerato di dire no, Roma non poteva sottrarsi. Del resto, da ieri, quando Lindner ha deciso di partire per Parigi per chiudere l’intesa con Le Maire, è partito anche un deciso pressing sull’Italia, spalle al muro affinché non si assumesse la responsabilità di far saltare l’accordo e riportare in vigore le vecchie regole sospese per pandemia.
E dunque, tra il sì con poco incasso e un no con conseguenze incalcolabili ma potenzialmente gravi per un governo sovranista che cerca di farsi strada in Ue, Giorgetti, d’accordo con la premier, ha scelto la prima via. “Consideriamo positivo il recepimento delle nostre iniziali richieste di estensione automatica del piano connessa agli investimenti del Pnrr, l’aver considerato un fattore rilevante la difesa, lo scomputo della spesa per interessi dal deficit strutturale fino al 2027”, elenca il titolare del dicastero di via XX Settembre.
In effetti, l’Italia non ha ottenuto molto di più. Il primo punto, quello relativo agli investimenti del Pnrr, è forse la concessione più significativa. Per difenderli, insieme alle riforme richieste dal piano di ripresa e resilienza, Roma potrà programmare il piano di aggiustamento in 7 anni piuttosto che nei canonici 4 previsti dalla riforma. L’estensione è automatica. Ma qui finiscono le buone notizie.
Un altro scampolo di flessibilità riguarda le spese nel settore ‘difesa’. Ma non si tratta dello scomputo chiesto da Giorgetti e inizialmente anche dal collega francese Le Maire. La difesa figura solo tra i ‘fattori rilevanti’ che possono consentire ad uno Stato con alto debito come l’Italia di evitare la procedura per squilibri eccessivi, situazione nella quale Roma si ritroverà sicuramente in primavera, insieme a Parigi.
Solo per gli interessi sul debito c’è un vero e proprio scomputo dal calcolo del deficit, ma solo per tre anni, dal 2025 al 2027. Qui l’aspettativa europea è che i tassi di interesse si abbasseranno prossimamente, dopo l’impennata decisa dalla Bce per combattere l’inflazione. Giorgetti ne è meno convinto. Infatti inizialmente insieme a Le Maire chiedeva che la golden rule sugli interessi fosse permanente. Non è andata.
Lindner è il vincitore della partita sulle nuove regole fiscali dell’Ue, che entreranno in vigore “prima delle europee”, sottolinea il vice presidente della Commissione Ue Valdis Dombrosvkis. La Germania è riuscita a stravolgere la proposta iniziale di Bruxelles, che era improntata su una flessibilità decisamente maggiore. Anzi, quella del commissario Paolo Gentiloni era una proposta nata proprio dalla critica e dal revisionismo degli anni in cui l’austerity ha sferzato la Grecia, scandendo il ritmo della crisi del debito di Atene.
Fino alla guerra in Ucraina sembrava che questa impostazione fosse condivisa anche a Berlino. Ma sono arrivati gli impegni di spesa per Kiev, i costi della transizione energetica sono aumentati, l’estrema destra di Alternative fur Deutschland ha conquistato la vetta dei sondaggi a danno dei partiti di governo.
In Germania l’opinione pubblica fa sempre meno sconti ai paesi ad alto debito, a stento è disposta ad accettare la scelta obbligata del governo federale di sospendere il freno all’indebitamento per necessità domestiche. Lindner è diventato il mastino della trattativa sul Patto di stabilità.
Il liberale tedesco è riuscito a ottenere percentuali fisse di riduzione del debito annuali per i paesi con un deficit sotto il 3 per cento: devono ridurre il debito dell’1 per cento se superano il 90 per cento in rapporto al pil, dello 0,5 per cento per chi supera la soglia del 60 per cento. Numeri che non c’erano nella proposta di Gentiloni.
Su questo punto, il dibattito tra i ministri finanziari dell’Ue è stato molto accesso alla riunione informale dell’Ecofin in Svezia, la scorsa primavera, durante il semestre di presidenza svedese dell’Ue, quando Giorgetti voleva una “golden rule per tutti gli investimenti chiesti dall’Europa”, dal verde, al digitale, la difesa, il sociale.
Parole rimaste tali. L’unico sconto è che la salvaguardia sul debito non si applica a chi deve ancora ridurre il deficit sotto il 3. In questo caso, i paesi interessati devono rispettare anche la salvaguardia sul debito. Anche su questo Lindner ha colpito. Oltre che sul debito, è riuscito a ottenere anche un’altra limitazione che riguarda il deficit: 1,5 per cento è la soglia di salvaguardia che di fatto diventa la nuova regola. I paesi che sono sotto il 3 per cento di deficit dovrebbe avvicinarsi all’1,5 per garantire che in tempi di malaugurato shock economico non si superi il 3 per cento.
Complicatissimo per l’Italia, cui è concesso l’unico respiro di sollievo dello scomputo degli interessi sul debito dal deficit. Un’altra piccola boccata d’aria arriva dalla riduzione dell’aggiustamento sul deficit da 0,4 per cento a 0,25 per cento in considerazione di riforme e investimenti. Di fatto, spiegano i tecnici, all’Italia verrebbe chiesto uno “0,5 per cento di aggiustamento sul deficit in termini strutturali, ma poi c’è lo scomputo del costo degli interessi sul debito e le altre voci…”.
Ecco perché Dombrovskis non si sbilancia. “Sarà l’Italia a stabilire il suo percorso strutturale di bilancio, la Commissione fornirà una traiettoria tecnica, prima che venga presa la decisione sull’approvazione” del bilancio, spiega Dombrovskis in conferenza stampa. Il raggiungimento del fatidico 1,5 per cento del deficit da parte italiana, “dipende anche dalla situazione esatta dello stesso deficit di bilancio, se è sopra o sotto il 3 per cento”, abbozza il vicepresidente della Commissione europea. “Ci sono tanti parametri per cui non è possibile ora dare una risposta semplice” sullo sforzo fiscale che l’Italia sarà chiamata a fare nei prossimi anni, “dobbiamo completare il lavoro a livello di procedura. Non entrerei ora nelle cifre specifiche perchè il sistema presenta tutta una serie di parametri. Ciò che posso dire in termini di processo è che se le cose ora vanno secondo il piano, e penso che dopo oggi possiamo avere più fiducia, avremo regole fiscali durante questo ciclo politico, prima delle elezioni europee. Poi la Commissione europea fornirà le linee guida fiscali per il 2025 agli Stati membri già sulla base delle nuove regole e quello sara’ il momento in cui saremo in grado di fornire una risposta in termini quantitativi” alla domanda sullo sforzo fiscale che l’Italia dovrà compiere.
“Nonostante le differenze significative rispetto alla nostra proposta, le nuove regole garantiscono un migliore equilibrio tra stabilita’ e crescita con incentivi per gli investimenti e le riforme e una maggiore titolarità. E’ una buona notizia per l’economia europea”, si limita a dire Gentiloni. “Per la prima volta in 30 anni questo Patto di stabilità riconosce l’importanza degli investimenti e delle riforme strutturali” che saranno “essenziali nei prossimi decenni”, evidenzia Le Maire. Anche Parigi ha problemi di alto deficit e debito, anche se minori che l’Italia. Eppure la Francia esalta l’accordo, perché nel frattempo ha ottenuto il disco verde di Berlino su una questione prioritaria per i francesi: il nucleare come energia pulita, dunque possibile oggetto di sovvenzioni e aiuti di Stato. Roma è finita nell’angolo. Non quello del veto, ma quello di una trattativa finita male o forse mai iniziata davvero, visto che è stata condotta principalmente dalla Francia e dalla Germania.
(da Huffingtonpost)
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