MELONI VUOLE SFIDUCIARE CONTE, SALVINI CERCA VOTI, BERLUSCONI ASPETTA
TRE PARTITI E TRE STRATEGIE DIVERSE
In attesa di capire se davvero l’”avvocato del popolo” stia cedendo, e fino a che punto, e se l’ex premier si accontenterà dei trofei offertigli, il centrodestra tira il freno a mano.
Sta alla finestra, con gli occhi puntati sulla Vetrata del Quirinale.
Le offerte di disponibilità e collaborazione sfumano. Le ipotesi di maggioranze allargate nell’interesse nazionale, o anche di appoggi esterni, evaporano.
Matteo Salvini, che in privato con parlamentari e governatori definisce “non realistica” l’ipotesi delle urne, in pubblico batte invece sul refrain senza chiaroscuri: “Se la strada maestra per il voto si rivelasse impraticabile, siamo per un governo di centrodestra che cercherebbe i voti in Parlamento”.
Mentre Giorgia Meloni non scarta dalla linea dura che ha imboccato, prima degli alleati: la sua mozione di sfiducia contro Conte
Estremamente cauto Silvio Berlusconi che, dopo i colloqui tra Gianni Letta e gli ambasciatori del Pd, ha “frenato” i suoi.
“Nessun appoggio a questo governo, anche se ci saremo per sostenere i provvedimenti che servono al Paese” è il succo del suo ragionamento per l’immediato.
Nell’ennesima lettera, stavolta al “Giornale”, non si è sbilanciato: “Pronti a collaborare a patto di discutere su piano vaccini e Recovery Fund. Siamo in sintonia con Mattarella a Capodanno, ci vuole un’unità sostanziale del Paese, al di là dei ruoli di maggioranza e opposizione al governo Conte che non sono in discussione”.
Per il resto, il Cavaliere si riserva di vedere cosa accade. Con un occhio, sullo sfondo, alle evoluzioni della vicenda Mediaset-Vivendi. Rassicurato che — per il momento — l’operazione “caccia grossa ai responsabili” non ha dato i risultati sperati dai “governisti”. Il gruppo al Senato non perde pezzi, e anche quello alla Camera — nido di parecchie “colombe” – sta tenendo.
E’ vero, come da celebre battuta di Clemente Mastella (tornato, da Benevento, ad aggirarsi tra i palazzi romani) che “i responsabili sono come i viet-cong e li vedi soltanto all’ultimo momento”, ma tra i caveat del Quirinale e il rischio boomerang al momento l’opzione è scesa di quota.
E’ chiaro che i distinguo tra i tre leader del centrodestra restano. Nonostante lo scetticismo, Berlusconi sa che difficilmente potrebbe resistere oltre un certo limite alle “sirene istituzionali” di un governo di unità nazionale.
A cui — secondo calcoli Dem — quasi un terzo dei parlamentari azzurri sarebbe sensibile.
Per il momento, la palla è nel campo giallorosso. Con il Quirinale che, oltre a “seguire la situazione con attenzione” non pare entusiasta di un estenuante contorcimento della classe politica — in pandemia ancora galoppante – intorno a incarichi, ministeri, bandierine e assegnazioni. Si vedrà .
Intanto, se il redde rationem si consumasse, quali sarebbero le scelte di Conte: a destra, più di uno sottolinea che gli converrebbe “chiamare” le urne piuttosto che rischiare una sfiducia al Senato che metterebbe la parola fine a ogni ambizione politica.
E poi, tra gli scenari futuri, un’altra differenza è netta: “Un conto è avere Draghi a Palazzo Chigi — ragiona un big forzista — Un altro è un governo elettorale Cartabia o Severino, destinato a portare l’Italia al voto prima dell’estate”.
E poi c’è l’ultima variabile, dal punto di vista dei parlamentari in bilico: “Tutti sanno che sarà molto difficile votare tra la campagna vaccinale, il Recovery Fund, la fine del blocco dei licenziamenti. Nessuno però vuole passare per venduto: non sono più i tempi di Razzi e Scilipoti. Perchè la situazione si sblocchi deve nascere una forza politica nuova”.
E si torna al duello tra Renzi e Conte.
(da “Huffingtonpost”)
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