MORIRE IN SILENZIO PER NON DISTURBARE IL NATALE
MORTI SUL LAVORO
“Morire contromano disturbando il pubblico”, con questi versi del suo brano “Construção” nel 1971, il cantautore brasiliano Chico Buarque denunciava il fenomeno delle morti sul lavoro ed il silenzio degli organi di informazione di allora. Seguì una provocazione: nel corso di un concerto aveva fatto lanciare, dal palco, della carne macinata fresca.
Quel gesto intendeva alludere alle vittime di quegli incidenti, mal pagate e mandate ai cantieri a rischiare la vita poiché la sicurezza avrebbe gravato sui costi delle imprese; quelle morti liquidate subito dopo indagini sommarie perché i cantieri non potevano fermarsi. Insomma, quel gesto alludeva ai lavoratori come “carne da macello” data in pasto agli interessi finanziari.
Filippo, mio antico compagno universitario, ricorda questo episodio legato alle morti sul lavoro e all’impegno degli artisti su questo tema. La canzone “Construção” venne classificata dalla rivista statunitense Rolling Stone come la più grande canzone brasiliana di tutti i tempi. In Italia venne interpretata da artisti importanti come Ornella Vanoni ed Enzo Jannacci.
Era il 1971 e in Brasile c’era la dittatura.
Oggi nel 2021 in democrazia, nella civile Europa, quasi come un bollettino di guerra nuovi nomi si aggiungono alla lista delle morti bianche. Non sono morti bianche, sono morti nere come le nostre coscienze anestetizzate. Ogni giorno, ogni maledetto nuovo giorno, altre morti, altre famiglie a piangere padri, madri, figli.
Il bollettino del “crimine di pace” dei caduti del lavoro non si ferma, un crimine che dovrebbe pesare come un macigno sulla coscienza di ognuno e della intera società, nessuno escluso. A parte i sindacati, che quotidianamente aggiornano il bollettino dei caduti sul lavoro e chiedono sicurezza per le persone, nessuno sembra interessarsi realmente a questa tragedia.
Non si può uscire di casa per andare al lavoro e non farci più ritorno. Non oggi! Non in questo Paese che si definisce civile e che ha il lavoro e il lavoratore tra i pilastri della sua Costituzione.
Eppure in tanti fanno finta di non sentire il rumore del dolore e il peso delle lacrime. È una questione che non fa audience nei talk show e non fa crescere nei sondaggi i politici. Gli stessi lavoratori si sentono più minacciati dai vaccini che dalla mancanza di sicurezza sui posti di lavoro.
Ci vorrebbe un sussulto di classe, si diceva un tempo, un tempo giusto in cui le parole erano pietre e lasciavano il segno e non erano coriandoli da lanciare in slogan “vuoti a perdere”.
C’è bisogno di un sussulto di umanità direi ora, di una grande alleanza tra lavoratori, giornalisti e anche artisti e intellettuali, ultimamente, ahimè, troppo concentrati sulle proprie ipocondrie quotidiane, in un continuo essere dei giovani Holden smarrendo la capacità di indignarsi e accusare, di essere in sintonia con la realtà circostante.
Il poeta, l’artista, l’intellettuale, chi ha la forza della parola ha smarrito l’antico ruolo sociale di “anello mancante” di chi è senza voce. La politica non riconosce più chi difendere ma sta attenta a non chi non disturbare.
Politica e impegno civile hanno abbandonato il mandato sociale che gli veniva riconosciuto dalla collettività per inseguire, invece, l’ansia da prestazione di autoespressione, di un’approvazione a portata di mano.
Domani altri cadranno, altre vittime si aggiungeranno a questo crimine di pace e, come al solito, pochi si indigneranno, qualcuno controllerà la curva di gradimento, altri cercheranno parole che suonano bene. Ma l’orrore non sarà cancellato da numeri e parole. Domani sarete/mo nuovamente colpevoli di silenzio, un silenzio che uccide. Almeno non chiamiamole più morti bianche, sono vittime di crimini in tempo di pace di una guerra che nessuno pare voler vincere nell’indifferenza più totale, per evitare di “disturbare” il traffico e, visto il periodo, morire in silenzio per evitare di disturbare il Natale.
(da Huffingtonpost)
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