MORTA COMBATTENDO AYSE, L’EROINA CURDA DELLA LIBERTA’ RACCONTATA DA ZEROCALCARE IN “KOBANE CALLING”
DOPO AVER DIFESO PER MESI KOBANE, ORA ERA IN PRIMA LINEA A RAQQA NELL’ASSALTO FINALE ALL’ISIS… ERA STATA TRA CHI CHIEDEVA DEMOCRAZIA A GEZI PARK CONTRO IL REGIME ASSASSINO DI EDOGAN… ALTRO CHE I RIVOLUZIONARI DEL CAZZO CHE PONTIFICANO IN ITALIA
Zerocalcare dedica un post su Facebook al ricordo di Ayse Deniz Karacagil, combattente morta a Raqqa, che la sua matita aveva disegnato e raccontato in Kobane Calling.
“E’ sempre antipatico – scrive l’autore – puntare i riflettori su una persona specifica, in una guerra dove la gente muore ogni giorno e non se la incula nessuno. Però siccome siamo fatti che se incontriamo qualcuno poi per forza di cose ce lo ricordiamo e quel lutto sembra toccarci più da vicino, a morire sul fronte di Raqqa contro i miliziani di Daesh è stata Ayse Deniz Karacagil, la ragazza soprannominata Cappuccio Rosso. Turca, condannata a 100 anni di carcere dallo stato turco per le proteste legate a Gezi Park, aveva scelto di andare in montagna unirsi al movimento di liberazione curdo invece di trascorrere il resto della sua vita in galera o in fuga. Da lì poi è andata a combattere contro Daesh in Siria e questa settimana è caduta in combattimento. Lo posto qua perchè chi s’è letto Kobane Calling magari si ricorda la sua storia.
La notizia della morte di Ayse ha avuto ampio risalto sui media turchi, pagine in cui la ragazza, a seconda degli schieramenti di una stampa oppressa dallo stato d’emergenza, viene ricordata come “attivista” o “terrorista”.
Tutto era cominciato a Gezi Park, quando i giovani schierati a difesa del verde pubblico non avevano vinto, ma quanto meno avevano costretto il presidente Erdogan a tirare giù la maschera del padre islamista moderato della nazione per rivelarne il vero volto.
Quello del potere assoluto, indisponibile al dialogo, sordo alle istanze di una società secolarizzata e democratica che si credeva protesa verso l’Europa.
Gli scarponi dei militari mandati da Erdogan a Gezi Park avevano calpestato tende e striscioni e zittito la protesta con la forza.
E, come tanti coetanei, Ayse aveva capito a sue spese – la condanna a un secolo di galera – che a un certo punto della vita si è chiamati a fare delle scelte, che siano i semplici ma sofferti compromessi tra le proprie individuali ambizioni e la dura realtà o la risposta da dare quando a chiamare sono battaglie per raggiungere un qualcosa che supera il destino di un solo uomo.
La libertà , per fare un esempio.
A volte le parole non bastano. Per difendere Kobane dalla stretta mortale di uno Stato Islamico che allora sembrava uno spettro imbattibile, i curdo-siriani dovettero imbracciare i loro fucili.
Uomini e donne, che la Turchia di Erdogan oggi bombarda additandoli ancora con quell’aggettivo, “terroristi”, e che invece nei giorni della resistenza di Kobane dimostrarono al mondo cosa vuol dire il coraggio.
Tra quelle donne c’era anche la turca Ayse Deniz Karacagil, caduta alle porte di Raqqa quando i ruoli sono ormai invertiti.
Ora gli assediati sono gli assassini del Daesh, che nell’ultima roccaforte guardano i minuti scorrere sull’orologio, mentre il Pentagono continua a rifornire di armi i suoi veri alleati sul campo, i curdo-siriani.
Dopo Obama, lo ha capito anche Trump quando è arrivato per lui il tempo delle scelte. E ha scelto di scrollarsi di dosso Erdogan e le sue indispettite rimostranze.
(da “La Repubblica”)
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