NAPOLI, INTERVISTA A UN PRESIDE DELLA SCUOLA DI FRONTIERA
“IL NOSTRO ISTITUTO APERTO FINO ALLE 22, COSI’ CONTRASTIAMO LE BABY GANG”
“Dieci minuti prima della sua telefonata è venuta da me una mamma in lacrime. La figlia, che sta per compiere sedici anni e frequenta questo istituto, non voleva più venire a scuola. La ragazzina era con lei, mi ha detto che si era stancata, che aveva deciso di fare altro”.
Paolo Pisciotta si ferma un attimo. Sospira. Di storie così, da quando – quello in corso è il quarto anno – è preside dell’istituto superiore professionale combinato con uno tecnico e uno agrario “Sannino – De Cillis” ne ha vissute tante.
Dirigere una scuola catalogata come “di frontiera”, due sedi nel quartiere Ponticelli, in una zona tra le più popolose di Napoli, ad alta densità di povertà e dispersione scolastica e l’ombra della criminalità che si allunga su interi quartieri, vuol dire anche parlare con una ragazzina di quindici anni, capire le motivazioni per cui ha stabilito di interrompere gli studi e convincerla a ripensarci.
“Ho chiamato una delle sue professoresse, abbiamo provato a comprendere le ragioni della ragazza. Le ho chiesto quale futuro abbia immaginato, cosa pensasse di fare non venendo più a scuola – riprende Pisciotta – e alla fine le ho proposto un patto: frequentare per altri due mesi. Ha accettato ed è tornata in classe già da stamattina. Sono convinto che rimarrà . Sembra una cosa banale, ma per me è una grande conquista”.
Parole che riportano alla mente “l’esercito di professori che non viene mai sostenuto” di cui ha parlato Roberto Saviano, la risposta più importante al fenomeno delle baby gang, riesploso nel napoletano negli ultimi giorni con le aggressioni, una messa a segno per impadronirsi di un telefonino, e casi drammatici come quelli di Arturo, 17 anni, accoltellato da quattro coetanei, e di Gaetano, 15 anni, picchiato a sangue da una quindicina di ragazzini.
Alla “Sannino – De Cillis”, frequentata da oltre novecento ragazzi, cosa sia la violenza giovanile si sa. “Non a caso la scuola intitolata a Davide Sannino, un ex studente ammazzato nel 1996 con un colpo di pistola alla testa, mentre festeggiava il diploma, perchè aveva sventato il furto del suo motorino”.
Si conoscono da queste parti le lusinghe della strada. “Per questo ogni ora che un nostro ragazzo passa a scuola è un’ora sottratta alla strada, all’illegalità “, aggiunge Pisciotta.
In quest’ottica va letta la decisione di tenere anche i corsi pomeridiani. Dall’inizio dell’anno scolastico la scuola è aperta fino alle 22.
“Il serale è centrato sul settore della ristorazione – spiega il preside – è una iniziativa che risponde alle esigenze reali del territorio. Frequentano un centinaio di ragazzi e sono contento che tanti hanno ripreso dopo aver abbandonato gli studi”.
Quindi, preside Pisciotta, sul fenomeno della violenza giovanile e le strategie per combatterlo, concorda con Saviano: il centro di tutto è la scuola?
“Sono d’accordo, per l’appunto abbiamo attivato i corsi serali e teniamo la scuola aperta dalle 7.30 del mattino alle 22. Per trattenere i ragazzi a scuola anche di pomeriggio, fino alle 17 organizziamo attività extracurriculari e dal prossimo anno scolastico estenderemo il serale anche alla sede del De Cillis, il settore agrario. Una scuola illuminata di sera è una luce accesa sul territorio, un faro di legalità . La scuola può e deve essere il luogo del recupero, ma c’è un “ma””.
Vale a dire?
“La scuola deve essere messa in condizioni di poterlo fare. Noi siamo motivati, andiamo avanti, ma capita di sentirci soli”.
Che significa “sentirci soli”?
“Sono convinto che bisogna rivedere gli ordinamenti degli istituti professionali, la struttura formativa delle attività . All’istituto professionale si iscrive un ragazzo che vuole imparare un mestiere e quindi è necessario aumentare le ore dedicate ai laboratori. Certo, è importante conoscere l’italiano e l’inglese, ci mancherebbe altro, ma da noi si iscrivono soprattutto per imparare a fare”.
Ma c’è l’alternanza scuola-lavoro. Non funziona?
“Qui non è facile trovare una rete produttiva che consenta di praticare l’alternanza scuola-lavoro in un ambiente lavorativo vero e non simulato. Non siamo nel Nord est d’Italia dove la scuola è attaccata o magari vicina alla fabbrica. Se io trovo una struttura che mi consenta di fare l’alternanza scuola-lavoro in un contesto reale e non simulato, per esempio a Caserta, devo avere a disposizione anche le risorse per portare i ragazzi avanti e indietro, da Ponticelli a Caserta. Insomma, prima di assumere determinati indirizzi bisognerebbe ragionare di più con chi opera in frontiera. Noi, nel caso specifico, siamo stati fortunati ad avere la possibilità di attivare i corsi serali. Ma mi chiedo: quante altre scuole che si trovano in contesti simili, hanno questa opportunità ? In realtà come questa i problemi sono reali e bisogna lavorare per dare ai ragazzi delle opportunità diverse da quelle che potrebbero trovare fuori dalla scuola”.
Tra i problemi reali cui fa riferimento c’è anche quello della violenza giovanile?
“Certo. Vede, quando la periferia si sente tale perchè distante dal centro, genera di fatto degli emarginati che cercheranno, e nei fatti cercano, di sentirsi come i compagni del centro. Se avessimo la possibilità di creare delle centralità diffuse anche in zone come questa, daremmo più dignità al territorio e ai suoi abitanti”.
Cosa intende per “centralità diffuse”?
“Servizi, luoghi di aggregazione, occasioni di cultura. I nostri ragazzi si sentono cittadini quando prendono la Vesuviana (la linea ferroviaria che collega molti paesi dell’hinterland a Napoli, ndr) e raggiungono il centro”.
Poi, però, nel caso delle baby gang, questi ragazzi aggrediscono, picchiano, si accaniscono contro loro coetanei. Secondo lei, alla base della violenza, può esserci la marginalità ?
“Il bisogno non giustifica la violenza, ma non possiamo analizzare la violenza senza analizzare i bisogni. E in queste periferie, penso a Ponticelli ma parlo di tutte le periferie, ci sono bisogni non soddisfatti. Posso raccontarle un episodio secondo me illuminante di come si sentono i ragazzi nelle nostre zone?”
Prego.
Il 28 settembre 2015 ospitammo il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per la prima inaugurazione dell’anno scolastico fuori dal Quirinale. Ebbene, a un giornalista che gli chiedeva quali emozioni provasse, uno dei nostri studenti rispose: “Finalmente non ci sentiamo più ultimi”. Questi ragazzi non si sentono parte integrante della città e vivono in un territorio che non offre nulla”.
Il tema delle baby gang legato quindi alla marginalità ?
“Marginalità economica, familiare, territoriale. Su questo, ripeto, la scuola, anche tenendo unite le file con le famiglie di provenienza degli studenti, può e deve fare la sua parte. Abbiamo il dovere di trattenere i nostri ragazzi, distogliendoli dalla strada e contestualmente formarli e qualificarli anche per le scelte professionali future. Oggi anche per aprire un bar o una pizzeria è richiesta una qualifica professionale. È questo che spieghiamo ai ragazzi del serale. Per me loro rappresentano un esempio, l’ho detto anche alla ragazzina con cui ho parlato stamattina”.
Che cosa le ha detto?
“Che questi ragazzi hanno abbandonato gli studi, come stava pensando di fare lei, ma ora ci hanno ripensato e stanno cercando di recuperare. Che lavoro potrà mai pensare di fare senza un titolo di studio? Completando la scuola si darà un’opportunità in più. Vede, ogni volta che mi si presenta un caso come questo, e capita spesso, si rinnova l’obbligo morale che avverto nei confronti dei miei ragazzi. Per questo le ho proposto il patto: abbiamo il dovere di lavorare su questa ragazza per farla restare a scuola”.
(da “La Stampa”)
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