NEANCHE I CESSI FUNZIONANO NEI CENTRI IN ALBANIA, LA RABBIA DEGLI AGENTI ITALIANI DEL LAGER PER I MIGRANTI DI GJADER: “MANCA ANCHE LO SPAZZOLONE DEL WATER”
IL SINDACATO: “SE L’AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA E LO STATO NON DIMOSTRANO IL MINIMO RISPETTO PER LE DONNE E GLI UOMINI IN DIVISA CHE LI RAPPRESENTANO, NON OSIAMO IMMAGINARE IL TRATTAMENTO CHE POTREBBE ESSERE RISERVATO AI MIGRANTI”… LE SPESE FOLLI PER UN CENTRO VUOTO
I 12 migranti (7 bengalesi e 5 egiziani) portati a Shengjin e poi, per ordine del tribunale di Roma, riportati in Italia, sono ancora confusi, non hanno capito fino in fondo di essere stati, loro malgrado, gli sfortunati pionieri del progetto Albania. Ma almeno stanno bene, hanno ricevuto finalmente l’informativa legale e incontrato gli avvocati che si occuperanno degli eventuali ricorsi.
Un’impresa non facile come spiega uno dei legali, Gennaro Santoro: «Per poter parlare col mio assistito ho dovuto fare reclamo ai Garanti, inviare numerose pec al ministero dell’Interno, chiedere a parlamentari di intervenire. Continuano a mettere ostacoli nella speranza di non far presentare ricorso al Tribunale contro il diniego dell’asilo politico – afferma – Perché sanno che il rigetto della commissione è illegittimo».
L’esame in terra albanese delle domande di protezione potrebbe, infatti, essere considerato nullo. Non solo la commissione territoriale chiamata a giudicare, e scelta dal Viminale, non ha all’interno alcun rappresentante dell’Alto commissariato per i rifugiati (Unhcr), ma la sua decisione rientra nelle procedure accelerate di frontiera che, a quanto hanno deciso i giudici romani, non potevano essere applicate perché i 12 non provengono da Paesi sicuri
Per ora, dunque, i migranti restano ospitati nel Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Bari Palese in un limbo giuridico. Ma la loro situazione non è l’unico cruccio del governo, che ora ha a che fare anche con le proteste del personale della polizia penitenziaria, spedito al di là dell’Adriatico, e ora sul piede di guerra.
«I nostri uomini non solo non possono godere della sistemazione alberghiera come tutti i colleghi delle altre forze di polizia e armate in Albania, ma addirittura vengono oltraggiate le specifiche previsioni contrattuali che li tutelano», tuona Gennarino De Fazio, segretario generale del sindacato Uilpa polizia penitenziaria che già lo scorso 17 ottobre, con una lettera, aveva sollevato la questione. E aggiunge: «Se l’amministrazione penitenziaria e lo Stato non dimostrano il minimo rispetto per le donne e gli uomini in divisa che li rappresentano, non osiamo immaginare il trattamento che potrebbe essere riservato ai migranti. Mai ne arrivassero».
In totale, sono 45 gli agenti della polizia penitenziaria chiamati in servizio nella terra delle aquile. Il loro compito è occuparsi del carcere costruito a Gjader, con 24 posti letto, dove dovrebbero essere inviati i migranti che commettono reati nel periodo di trattenimento. Ma la paura degli agenti è che il pasticcio politico-giudiziario sul protocollo Italia-Albania lasci le strutture vuote ancora per un bel po’. Non solo, ma c’è anche la questione economica
Spese folli, per un Cpr (centro per il rimpatrio) e un carcere vuoti. E su cui grava una questione giuridica di diritto ancora sospesa. Gli agenti della penitenziaria si lamentano anche degli alloggi: prefabbricati a cui si accede con una scala metallica interna, senza elementi di arredo basilari, dalla tv allo spazzolino per il water. «È tutto paradossale» ripetono mentre sono in attesa degli altri colleghi e dei migranti. Semmai arriveranno.
(da La Stampa)
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