NO, NON E’ LA BBC: LA LISTA DEI RENZI BOYS PER OCCUPARE LA RAI
UN MANAGER CHE CAPISCA DI TV E UN VIP PER L’IMMAGINE
Aveva promesso di fare la Bbc, autorevole, indipendente, invece lo schema è quello della solita occupazione della tv pubblica come consente la legge Gasparri ancora in vigore, in attesa dell’approvazione della riforma: la Rai di Matteo Renzi avrà un direttore generale “di prodotto”, cioè che capisce di televisione e management, e un presidente di fama, possibilmente giornalista, meglio se volto televisivo.
La riunione di ieri mattina a Palazzo Chigi ha ristretto la rosa dei candidati, adesso bisogna aspettare le mosse di Silvio Berlusconi che prenderà le sue decisioni in un summit ad Arcore, domani sera. Poi sarà finita.
La lista dei candidati a fare il capo azienda — oggi un direttore generale, che si convertirà in amministratore delegato con maggiori poteri appena la riforma della Rai sarà approvata anche alla Camera — ieri si limitava a tre nomi, a cominciare da Andrea Scrosati, responsabile dei contenuti di Sky.
Il consigliere del premier Andrea Guerra spinge Marinella Soldi: 48 anni, guida Discovery Italia(il cui canale più noto è Real Time).
I critici dicono che, come tuttii referenti locali di gruppi multinazionali non ha veri poteri, si occupa solo della gestione commerciale, non delle scelte strategiche, prese negli Stati Uniti.
Tra i punti a favore: è toscana, di un paese vicino a Rignano sull’Arno (quello di Renzi), è donna ed è nuova.
E il parere di Guerra — si è visto nel ricambio in Cassa depositi e prestiti — conta parecchio.
Il terzo nome è quello di Antonio Campo Dall’Orto: i suoi successi sono ormai lontani, lanciò Mtv nell’altro secolo, fino al 2008 gestiva La7 (licenziò Daniele Luttazzi) quando perdeva decine di milioni all’anno, ma è stimato, è considerato uno dei pochi manager televisivi con idee originali.
Ed è sempre stato attento ai rapporti con la politica, renziano da tempi non sospetti.
La scelta del direttore generale va però incastrata con quello del presidente. Renzi tiene molto alla coppia uomo-donna.
Per questo avrebbe voluto alla presidenza Luisa Todini, che un anno fa ha messo sulla poltrona più alta di Poste Italiane (mentre stava anche nel cda Rai).
Ma il presidente deve essere votato dai due terzi della commissione di vigilanza.
Quindi Pd e Forza Italia. E ai forzisti la Todini non piace più come un tempo, troppo oscillante nelle sue sintonie politiche.
Dal lato di Arcore avanza sempre il nome di Antonio Pilati, membro del cda, un tempo superberlusconiano che poi ha iniziato a votare con i membri in quota Pd. Ma Renzi vuole un nome più popolare. Gli sarebbe piaciuto Paolo Mieli, che ha rifiutato.
Ieri ha vagliato due manager della cultura: l’intramontabile Paolo Baratta, che sta per lasciare la Biennale di Venezia, o il sovrintendente dell’Opera di Roma, quel Carlo Fuortes che con i sindacati degli orchestrali è stato più duro di Renzi con la Fiom.
Ma con un vero manager come direttore generale, mettere un altro “operativo” alla presidenza rischia di creare cacofonia (o di far sembrare il dg sotto tutela).
Con un capo azienda forte, meglio un presidente che trasmetta l’impressionediessere un garante dei contenuti, facendo però sentire un po’ garantiti anche i partiti che lo nominano.
A Palazzo Chigi ragionano su due nomi: Marcello Sorgi e Mario Calabresi, ex e attuale direttore della Stampa, entrambi collaborano con la Rai (Sorgi ha diretto anche il Tg1).
Stefano Feltri e Carlo Tecce
(da “il Fatto Quotidiano“)
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