“NON CI COMPRATE CON UN’ASSUNZIONE”
ANCHE I PRECARI TRA I RIBELLI
Il cinque maggio di Renzi-Napoleone si apre con un cordone di bambini che sventola rotoli di carta igienica.
E’ la scuola pubblica — dicono — che va a rotoli.
Dietro, in un mare di bandiere rosse, gialle, bianche, sfila l’orgoglio dei centomila prof.
Tanti, tantissimi, nessuno si aspettava un corteo così folto, nella prima manifestazione sindacale unitaria da oltre sette anni. Renzi-Pinocchio, Renzi- orecchie-d’asino, Renzi&Giannini come la Gelmini.
Ovunque il cartello “mai più Pd”, fischietti e “Bella ciao” nel caldo pazzesco dell’estate improvvisa, ma ad ogni slogan un pezzo della “buona scuola” di Renzi, “la riforma tradita”, cade giù in frantumi, lungo i muraglioni del Pincio che portano a piazza del Popolo piena a metà e invasa di palloncini blu.
E blu è il simbolo della protesta, il fiocchetto appuntato sul petto: come si fa per le battaglie campali, quelle dei diritti civili.
È la sinistra delusa che attacca la sinistra di Governo, anche Stefano Fassina, che pure sfila con i prof, viene contestato, mentre Pippo Civati dice chiaro: «Il Pd ha tradito i propri impegni elettorali, ha fatto una riforma della scuola lontanissima dalla nostra cultura politica».
Beatrice ha 46 anni, è insegnante di ruolo nella scuola primaria “Malaspina” di Roma, cammina insieme a Maria Pia, precaria, dietro un cordone di bambini che imbracciano palette di cartone.
«Dopo vent’anni di lavoro – si sfoga Beatrice – è come se la mia storia, il mio punteggio non contassero più. Il preside da un giorno all’altro potrebbe trasferirmi, con decisione assolutamente arbitraria».
E infatti nel mirino della protesta contro Renzi, accusato di “bonapartismo”, (complice il calendario che ha fatto coincidere il giorno della manifestazione, il cinque maggio, con il titolo della poesia di Manzoni su Napoleone) c’è prima di tutto il “preside sceriffo”.
E quindi la fine, dicono i docenti, della democrazia nella scuola, la morte degli organi collegiali, l’alternanza scuola-lavoro, le donazioni dei privati, i precari che resteranno fuori dalle assunzioni, ma anche lo “spettro” di essere costretti a cambiare sede ogni tre anni.
Antonio Marra, fa l’insegnante di Matematica a Caserta. Porta appeso al collo un cartello con il numero 25.
«Vede i miei capelli? Sono bianchi. Ho mezzo secolo, due lauree, oltre cento alunni e sono precario da 25 anni. Dovrei rientrare nei centomila assunti promessi da Renzi. Ma sarà vero? E quando? E poi perchè non dovrei essere in piazza? Questa riforma fa schifo comunque. Non è il Governo che ci assume, ma l’Europa che l’ha imposto. Precario-assunto mica vuol dire crumiro».
Antonio sorride. «Sì, è un termine che oggi non usa più nessuno».
Invece sono più o meno le stesse parole che Susanna Camusso griderà dal palco di piazza del Popolo: «Le assunzioni sono un atto dovuto, non possono essere usate come strumento di divisione tra insegnanti e precari… Qui c’è il mondo che fa la scuola, insegnanti, studenti, famiglie, il futuro del Paese».
Sfilano le bandiere di Cgil, Cisl e Uil, i leader ci sono tutti, ma anche Gilda, Snals, e poi migliaia di istituti primari e secondari con i loro striscioni dipinti a mano, il centro e le periferie, i cortei arrivati da Napoli, dalla Toscana, l’orgoglio dei quartieri: “Da San Basilio a Garbatella, Renzi, Giannini, fate la cartella”.
Si ballano pizzica e taranta, ci sono almeno diecimila studenti scesi in piazza, lo storico liceo artistico “Ripetta” è tra i gruppi più folti.
Ma il corteo è anche duro, teso, molti sono, anzi erano, elettori del Pd, e nella riforma ci avevano creduto. “Riforma sì, ma non così” gridano infatti dai megafoni. I ragazzi hanno la vernice rossa e arancio sulle mani, l’effetto è splatter e metropolitano.
Enrico Castelli insegna Lettere alla scuola media “Mazzini” di Roma, uno dei primi istituti multiculturali della Capitale, salda tradizione di accoglienza nel cuore del centro storico, a pochi passi dal Colosseo.
«Questa riforma mina alle fondamenta l’istruzione pubblica. E punta ad un sempre maggiore divario tra le scuole ricche e le scuole povere. Le donazioni, ad esempio. Privati cittadini potranno offrire contributi in cambio di vantaggi fiscali. Con i risultato che nei quartieri benestanti le scuole avranno mezzi e negli altri no. È questo il principio di uguaglianza che lo Stato dovrebbe garantire?».
Un gruppo di precari mostra una gigantografia del film “Il marchese del Grillo” con la faccia di Renzi al posto di quella di Alberto Sordi: «Io so io e voi nun siete un ca… ». E il premier con il cappello di Napoleone. Sotto: «Vai a Sant’Elena… ». Paragoni irriverenti. Ma la protesta è dura.
Aggiunge Enrico Castelli, mentre il corteo approda a piazza del Popolo, tra migliaia di bandiere rosse della Cgil. «Uno degli elementi più controversi è la figura del preside manager, nelle cui mani verranno accorpati poteri enormi, azzerando così ogni tipo di democrazia nella scuola. Con quali criteri potrà scegliere i professori? Con quanta trasparenza? Questa riforma è un’occasione perduta, produrrà soltanto cattiva scuola».
Una folla enorme canta “Bella Ciao”, due, tre, cinque volte. La manifestazione è finita, bandiere arrotolate le prof e i prof tornano a casa.
Seduta nel rifugio del bar Rosati la giovane dirigente scolastica commenta pacata: «Non è bello sentirsi nel mirino della protesta, ma gli insegnanti hanno ragione. Noi abbiamo tra le mani le vite dei ragazzi, come possono i presidi decidere tutto da soli? Pensate che responsabilità terribile…».
Maria Novella De Luca
(da “La Repubblica”)
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