OMICIDIO STRADALE, UNA LEGGE CHE SBANDA: SOLO IL 4,8% IN MENO
STESSE VITTIME DOPO NOVE MESI DI LEGGE, SCARSI GLI EFFETTI SULLA SICUREZZA
Nove mesi forse non bastano per promuovere o bocciare una legge, soprattutto quando ha a che fare con un tema complesso come fa quella sull’Omicidio stradale, entrata in vigore il 25 marzo 2016.
Di certo non c’è stato però l’effetto deterrenza ottenuto con altre norme come ad esempio quella sulla patente a punti.
Il provvedimento voluto dall’allora ministro dei Trasporti Pietro Lunardi entrò in vigore il 1 luglio 2003 e nel giro di 5 mesi permise un calo degli incidenti del 17,16% rispetto allo stesso periodo del 2002, mentre la diminuzione nel numero di morti e feriti fu rispettivamente del 23,4 e del 20,2% (dati relativi ai rilievi della Polizia Stradale in autostrade e strade extraurbane).
A confronto i risultati ottenuti nei primi 5 mesi di applicazione dell’Omicidio Stradale (luglio-novembre 2016) rispetto alla situazione precedente (luglio-novembre 2015) sono estremamente deludenti: incidenti, morti e feriti scendono del 3,1%, 4,8% e 3,7%.
Se sul piano dei numeri qualche margine di dubbio legato al breve tempo trascorso resta, nove mesi sono sufficienti invece per capire quali sono i punti critici delle norme e cosa va cambiato, con urgenza.
Di sicuro non c’è stata un’ondata di arresti in flagranza, non c’è stata una diminuzione di incidenti e morti significativa (anzi i dati di luglio e agosto mostrano un picco di crescita preoccupante), le condanne “esemplari” sono ancora lontane. Una delle poche è arrivata proprio pochi giorni fa a Messina.
Se è vero che sino ad oggi di applicazioni esemplari del nuovo reato di omicidio stradale se ne sono viste poche, una è arrivata proprio pochi giorni fa quando il Giudice per l’udienza preliminare di Messina Salvatore Mastroeni ha inflitto con rito abbreviato 11 anni di carcere a Gaetano Forestieri, un ex finanziere colpevole di aver travolto con la sua auto un’altra vettura, provocando la morte della donna che si trovava al volante.
Forestieri,secondo quanto ricostruito in aula, stava gareggiando in velocità in pieno centro cittadino con un altro giovane, Giovanni Gugliandolo, condannato a 7 anni. Le accuse contestate a vario titolo ai due imputati sono state quelle di omicidio stradale e competizione non autorizzata e, nel caso di Gugliandolo, anche quella di omissione di soccorso
Al netto di questi casi eclatanti, il primo effetto concreto della legge rischia di essere piuttosto un diluvio di patenti revocate in automatico a migliaia di automobilisti rei, magari, di aver provocato un banale colpo di frusta in un tamponamento.
Quella che la stessa Polstrada, pur non commentando gli aspetti politici della legge, definisce una “possibile forzatura”. Senza contare che il provvedimento, evitando di prendere in esame gli incidenti provocati dal dilagante uso dello smartphone mentre si guida, è di fatto nato vecchio.
Da gennaio a giugno del 2016 l’Istat ritiene gli incidenti siano stati 83.549, provocando 118.349 feriti e 1.466 morti.
Si tratta di una stima perchè se i dati della Polizia Stradale e dei Carabinieri (autostrade e strade extraurbane) sono aggiornati giorno per giorno, quelli della polizia locale sono calcolati invece su cifre parziali.
Numeri fondamentali ai fini delle statistiche perchè vengono forniti da 172 Comuni e riguardano zone caldissime per gli incidenti: strade cittadine e quelle immediatamente vicine. Rispetto allo stesso periodo del 2015 (dati definitivi) la diminuzione degli incidenti con lesioni a persone è dello 0,8% , quella dei feriti dello 0,5%, quella dei morti del 4,7%.
Sulle autostrade i morti, grazie anche all’effetto tutor nel controllo della velocità , sono stati il 15% in meno, mentre nelle strade urbane ed extraurbane siamo fra il 2 e il 5% in meno
Ma, avverte ancora l’Istat, “in base ai dati già pervenuti dalla Polizia Stradale nel periodo luglio-settembre si registra tuttavia un picco per il numero delle vittime nel complesso degli ambiti stradali nei mesi di luglio e agosto”.
Nei primi sei mesi dell’anno, spiega ancora il resoconto dell’Istat pubblicato il 19 dicembre, le multe per uso del telefono cellulare fatte dalla Polizia Stradale (quindi non in ambito urbano dove lo smartphone è molto più usato) sono aumentate del 25%.
Voluta in modo forte dalle associazioni delle vittime della strada e da quelle sulla sicurezza stradale, nata sulla scia dell’indignazione per il ripetersi di drammatici episodi di cronaca, la legge 41 sull’Omicido Stradale aveva soprattutto uno scopo: colpire chi si mette alla guida ubriaco o sotto l’effetto della droga causando con comportamenti criminali la morte di innocenti.
“Devono andare in carcere, non devono guidare mai più”. Questo il messaggio, la richiesta. E sull’onda di questa emotività è nato il testo che interviene, modificandoli, su tre Codici: quello della strada, quello penale e quello di procedura penale.
Innanzitutto sono state aumentate le pene previste per l’omicidio colposo, creando la categoria giuridica di un omicidio colposo aggravato detto “stradale”.
Inoltre le pene già aumentate sono state ulteriormente inasprite con aggravanti specifiche: la guida in stato di ebbrezza, quella sotto effetto di droghe, il fatto di essere fuggiti senza dare soccorso (i pirati della strada).
Nel corso dei lavori parlamentari sono state aggiunte altre aggravanti: il sorpasso in presenza di un attraversamento pedonale, l’inversione a U con scarsa visibilità , la velocità eccessiva, la guida senza patente, il mancato rispetto del rosso al semaforo.
Oggi per l’omicidio colposo su strada la pena varia quindi da 2 a 7 anni, se si commette in stato di ebbrezza o sotto effetto di droga sale da 8 a 12 anni, se la morte è provocata in seguito ad altri comportamenti previsti dalla nuova legge (velocità , passare con il rosso ecc.) la condanna varierà da 5 a 10 anni. Aumenti fino a due terzi della pena (mai comunque meno di 5 anni) per i pirati della strada.
Giro di vite anche sulle pene detentive previste quando di provocano lesioni gravi (più di 40 giorni di prognosi) e gravissime (perdite di arti o menomazioni irreversibili di un organo). Poi ci sono le sanzioni accessorie, non negoziabili con il giudice, che prevedono la revoca della patente che non può essere riottenuta da nessuno per minimo 5 anni (si parla dalle lesioni gravi in su) fino a 15, 20 o 30 anni di revoca nei casi di omicidio stradale più gravi.
Nonostante la richiesta di associazioni ed esperti, fra le aggravanti non è stata inserita però la distrazione, soprattutto quella per uso del cellulare o smartphone.
“Ormai — dice Enrico Pagliari, capo dell’area tecnica dell’Aci — sappiamo che 3 incidenti su 4 sono riconducibili alla distrazione e i dati a nostra disposizione dimostrano che un guidatore morto su 4 è vittima del telefono. Un recente studio condotto negli Stati Uniti dice che il 57% delle vittime della strada stava facendo uso del cellulare al momento dell’incidente”.
“La verità – spiegano alla Polizia stradale — è che dimostrare che il guidatore stesse usando uno smartphone è quasi impossibile.
Le procure chiedono espressamente a chi fa i rilievi, quando ne trovi uno sul luogo dell’incidente, di sequestrarlo. Ma strumenti elettronici sicuri per dimostrare l’uso del cellulare al momento dell’incidente non esistono”. Distratti, ma impuniti.
“L’Omicidio Stradale è una buona legge”, dice Stefano Guarnieri, presidente dell’associazione Lorenzo Guarnieri, dal nome del figlio 17enne ucciso da un guidatore ubriaco.
“Certo può avere degli effetti collaterali indesiderati, ma non si può mandare all’aria una buona legge per quelli. Smettereste di prendere un farmaco perchè nel bugiardino c’è scritto che può far male?”.
Che l’Omicido Stradale abbia degli “effetti collaterali”, e non irrilevanti, è stato chiaro nel giro di poco tempo.
L’aspetto più delicato non riguarda tanto le conseguenze sugli incidenti mortali, quanto su quelli con “feriti gravi”, soglia che viene oltrepassata quando la prognosi supera i 40 giorni. In Italia nel 2015 i feriti gravi sono stati 15.901, il 6,3% del totale. Quando si verifica un incidente di questo tipo il guidatore del veicolo che lo ha causato viene denunciato all’autorità giudiziaria che apre un’istruttoria.
Se venisse ritenuto colpevole, qualunque sia la pena detentiva inflitta e anche se sospesa con la condizionale, scatta in automatico la pena accessoria della revoca della patente per un minimo di 5 anni.
Con il risultato che anche per un colpo di frusta causato al conducente di un’auto tamponata, la cui gravità viene magari “gonfiata” ai fini assicurativi, il rischio è non poter guidare per almeno 5 anni, al termine dei quali sarà necessario ripetere l’esame. “Cinque anni come revoca minima della patente dal punto di vista dell’automobilista sono forse una forzatura — osservano alla Polizia Stradale — anche perchè la misura non è parametrabile su quanto davvero accaduto, il magistrato non può interpretarla, la deve solo applicare”.
Visto dalla parte di chi è abituato a difendere le ragioni degli automobilisti in tribunale si tratta di un chiaro eccesso.
“Mi sfugge il motivo logico perchè debbano essere accettate soluzioni così penalizzanti nei casi con i feriti, e gli incidenti con feriti sono la stragrande maggioranza”, osserva Luigi Cutolo, avvocato specializzato in infortunistica stradale. “Così come è congegnata la norma – sottolinea il legale – il rischio è che si possa ridare l’esame della patente dopo 15 anni con conseguenze particolarmente gravi soprattutto con persone che non hanno precedenti, che possono essere state vittime di una circostanza”.
La sua collega Alessia Diorio la vede diversamente: “Evitare che il colpevole di un incidente con gravi conseguenze torni alla guida è comunque giusto. Io anni fa mi sono trovata con una cliente rimasta incastrata nella porta di un autobus, caduta e investita dal bus ha perso una gamba, ma l’autista guida ancora”.
Le aggravanti della legge prevedono inoltre che il prefetto possa sospendere la patente in via cautelare per un periodo da un mese a 5 anni anche prima del giudizio definitivo mentre nei casi più gravi (morte di persone coinvolte, fuga dell’automobilista o guida in stato di ebrezza etc) la revoca può arrivare a 30 anni, il cosiddetto “ergastolo della patente”.
“Questo — dicono ancora alla Polizia Stradale — potrebbe essere il migliore deterrente contenuto nella legge, ma finora non ha avuto un grande impatto sul numero dei sinistri”.
“Per un’istruttoria il magistrato ha a disposizione sei mesi — spiega l’avvocata Diorio — poi se le cose non sono chiare può chiedere una proroga. Non mi stupisce che l’impatto della pena accessoria della legge non sia ancora stato percepito: non ci sono state sentenze”.
Ma le compagnie assicurative hanno percepito la tempesta in arrivo tanto che molte si stanno attrezzando aggiungendo alle garanzie della RcAuto la “tutela legale”.
Le perplessità su quella che la Polstrada definisce “una forzatura” potrebbero arrivare presto all’attenzione del Parlamento che il senatore di Idea-Popolari per l’Italia Carlo Giovanardi vorrebbe fosse chiamato ad emendare gli “effetti collaterali” dell’Omicidio Stradale.
“Presenterò un Disegno di Legge per correggere le demagogiche forzature della norma”, ha promesso, aggiungendo che “con la legge precedente in alternativa alla reclusione c’era la multa da 500 a 2000 euro e la sospensione della patente poteva arrivare fino a un massimo di 2 anni. Migliaia di cittadini italiani sono già incappati, da marzo in avanti, in questo incredibile provvedimento, che non colpisce, come è giusto, chi è ubriaco, drogato o si comporta da pirata della strada, ma punisce in maniera indiscriminata anche chi, guidando con tutta la prudenza del mondo, può aver causato un incidente, che in caso abbia conseguenze mortali, può costare fino a 18 anni di carcere”.
Su quest’ultimo punto Giovanardi troverà però difficilmente consensi.
Se la questione sono gli anni di carcere, è necessario chiedersi prima se qualcuno in carcere ci va effettivamente.
E domandarsi, soprattutto, se l’arresto in flagranza, che la legge prevede come obbligatorio, viene utilizzato dalle forze dell’ordine che intervengono per i rilievi dell’incidente.
“L’arresto per essere convalidato deve rispondere a più esigenze cautelari: il pericolo di fuga (guidatore straniero o senza fissa dimora), precedenti specifici, stato di ebbrezza o effetto di droghe. Se non ce ne sono più insieme l’arresto non verrà convalidato e avremo tenuto venti agenti che potevano essere impiegati diversamente a lavorare su una cosa che non serve”, chiarisce la Polizia Stradale.
I dati confermano che l’arresto del conducente coinvolto in uno scontro avviene raramente.
Da quando la legge è entrata in vigore ce ne sono stati 16 su quasi 260 incidenti mortali (dati sugli incidenti rilevati dalla Polizia Stradale). “Dieci erano conducenti in stato di ebbrezza o sotto effetto di droga, per gli altri c’era pericolo di fuga”. E che l’argomento sia controverso lo dimostra anche la direttiva, tredici pagini di istruzioni e riferimenti alla Legge 41, che il Procuratore di Grosseto, Raffaella Capasso, si è sentita in dovere di mandare a tutte le forze dell’ordine della provincia.
E il carcere?
“Il problema resta l’atteggiamento dei magistrati nell’applicare le norme — dice Giuseppa Cassaniti, presidente Aifvs (Associazione familiari vittime della strada) — già si parte dal minimo, poi scatta la riduzione di un terzo della pena. In prigione ci finiscono in pochi, mi creda. Più che il nuovo reato di omicidio stradale serviva l’applicazione delle norme che già c’erano”.
Mettersi al volante in stato di ebrezza, ad esempio, è vietato da sempre, ma a mancare sono i controlli e la prevenzione.
“In Svezia un automobilista in media viene sottoposto all’etilometro una volta ogni 3 anni, in Italia una ogni 40 — ricorda Stefano Guarnieri — e di solito a posteriori, quando l’incidente c’è già stato. Se si viene fermati per un controllo si sta facendo prevenzione, non repressione”.
La vigilanza anti-alcol alla guida è scarsa insomma, eppure gli strumenti ci sono. Quello che manca, come spesso accade in Italia, è semmai la manutenzione ordinaria. “Di etilometri — fanno sapere dalla Polizia Stradale — ne abbiamo in abbondanza, ma per legge devono essere sottoposti a una certificazione una volta all’anno, certificazione che deve essere fatta dalla Motorizzazione. E qui i tempi si allungano”.
Prevenzione che secondo molti passa anche da un diverso approccio culturale al tema. “Il concetto che dovrebbe passare è che l’utente della strada partecipa alla condivisione dello spazio pubblico”, dice Giulietta Pagliaccio, presidente della Fiab, Federazione italiana amici della bicicletta, 160 associazioni in network, 18mila iscritti.
Negli ultimi sedici anni, dicono i dati Aci, i ciclisti sono il segmento di utenti della strada che ha visto il più alto incremento di vittime, più 30%.
“La mistificazione parte già dalle pubblicità delle auto – insiste Giulietta Pagliaccio – Non è che perchè sei dentro una vettura, magari grossa, potente, hai più diritti degli altri, non significa che occupi uno spazio della strada che è solo tuo. Invece gli spot fanno passare il messaggio che in auto sei dentro uno luogo privato, esclusivo, che il fuori non esiste e se esiste è irreale: strade vuote, dove si corre veloci, dove si è sempre connessi. Dove, come possiamo vedere in una pubblicità recente, se piove premendo un tasto dell’auto si ferma la pioggia, con un senso di onnipotenza. Che messaggio mandiamo a un bambino che sta guardando? Che guidatore diventerà da grande?”.
Alessandro Cecioni
(da “La Repubblica“)
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