PD COSTRETTO A DIRE SI’ A DRAGHI? SE AVESSE UNA LINEA POLITICA E PARLAMENTARI COESI DOVREBBE STARE ALL’OPPOSIZIONE
A FORZA DI “ESSERE RESPONSABILI” SI RIDURRANNO A COMPARSE… TROPPO IMBORGHESITI E ATTACCATI ALLA POLTRONA, OCCORRE CORAGGIO: ANDARE ALLE ELEZIONI E MAL CHE VADA SI TOLGONO DALLE PALLE GLI INFILTRATI CHE RENZI HA LASCIATO NEL PD
Il Pd è orfano due volte. È senza premier e senza linea politica. Le macerie del Nazareno, nel primo giorno della fase Draghi, sono fumanti insieme ai mattoni caduti del sogno M5s di mantenere Giuseppe Conte a Palazzo Chigi e di conservare il proprio potere derivato dal voto del 2018.
C’è sconcerto nel day after tra i maggiorenti del Pd: “Beh, di certo non stappiamo lo spumante”. È tutto un telefonarsi, inseguirsi, compiangersi. Il segretario Nicola Zingaretti da spettatore prova a tornare centrale e a rimettere insieme i pezzi dell’alleanza giallorossa: “Con l’incarico a Mario Draghi si apre una fase nuova che può portare il Paese fuori dall’incertezza creata da una crisi irresponsabile e assurda”. E quindi: “Siamo pronti a contribuire con le nostre idee a questa sfida per fermare la pandemia. Non bisogna perdere la forza e le potenzialità di una alleanza con il Movimento 5 Stelle e con Leu. Per affrontare questi temi chiederemo nelle prossime ore un incontro con il Movimento 5 Stelle e Leu”.
Dal segretario al suo vice Andrea Orlando il mood è quello di chi ha subito una batosta imprevista, ritenuta invece prevedibilissima dagli ex renziani rimasti nei dem e che i realisti della politica alla Dario Franceschini avevano messo nel conto.
“Il Pd ha svolto la sua funzione, ha lavorato per la nascita di un governo ma — si difende il vicesegretario – è stata impedita, è stata fatta saltare da una scelta di Iv e di Matteo Renzi. Quindi per favore non parliamo indistintamente di fallimento della politica”.
Tuttavia dentro il partito è tempo di recriminazioni: “Non ci siamo creati altre strade, un’alternativa, ci siamo legati mani e piedi a Conte”. È il concetto che viene ripetuto insistentemente in queste ore mentre cresce la paura che il partito stesso possa spaccarsi.
Italia Viva, nei suoi conciliaboli, non nasconde la voglia di creare un nuovo centro e quindi, un pezzo di partito, che fa capo a Base riformista e di cui fanno parte gli ex renziani rimasti nel Pd, rappresenta il terreno fertile a cui puntare.
Adesso i dem devono ricalibrarsi, e anche in fretta, sul governo Draghi. Compattando le truppe. E infatti il vicesegretario Orlando inizia la virata: “Il ruolo politico non può prescindere dai numeri, il nostro 11% in Senato non basta. Il Pd dovrà decidere anche in relazione a quello che faranno le altre forze politiche”.
Il Pd si trova nella difficile situazione di non poter dire di ‘no’ nè al Capo dello Stato Sergio Mattarella nè a Mario Draghi.
E questo è il frutto, nell’analisi anche spietata che stanno ai vertici del partito e soprattutto dei gruppi parlamentari, di tre errori. Non hanno capito che Renzi sarebbe andato fino in fondo. Cosa che a un certo punto è diventata chiara perfino a M5s. Altro errore su cui si ragiona ancora in casa dem è che ci si è legati automaticamente a Conte, pur di salvare l’accordo con i grillini, senza ragionare a un piano B. Mentre il piano B era già in corso. Il Pd non ha capito che il presidente Mattarella aveva veramente il nome di Mario Draghi pronto, e chi glielo faceva notare veniva respinto con perdite: “I nostri segnali ci dicono che non è affatto così”.
Nelle telefonate tra i big non si nasconde il senso della sconfitta ricevuta in queste ore. E c’è chi dice ai propri interlocutori: “Questa è una delle pagine più disastrose e dolorose che la sinistra abbia vissuto negli ultimi decenni. Proprio mentre ricorre il primo centenario della nascita del Pci”.
Perchè adesso la paura più grande è il rischio di coabitazione obbligata con la Lega nella maggioranza a sostegno del governo Draghi se Matteo Salvini dirà di sì. Andrebbe in frantumi il progetto politico a cui, dall’agosto 2019, Zingaretti lavora con una determinazione assoluta e che si è rivelato, alla luce dei fatti delle ultime ore, fallimentare:
Conte simbolo e candidato premier dell’alleanza progressista grillo-dem alle elezioni del 2023. Questo era il disegno. Disegno che Zingaretti prova ora in extremis a recuperare.
(da “Huffingtonpost”)
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