PD = PARTITO DIVISO IN VENTUNO TRIBU’, TRA CORRENTI E SPIFFERI
SONI 21 I MICRO GRUPPI IN GUERRA TRA LORO: OBIETTIVO SPODESTARE BERSANI….CHI GUARDA ALL’UDC, CHI A SEL, CHI ALL’IDV, CHI ALLA FIOM E CHI NO… SU OGNI TEMA FONDAMENTALE E’ LOTTA
La solitudine di Pier Luigi Bersani. A bordo di un treno, guarda fuori dal finestrino. Senza un sorriso dell’avvenire, nè del presente.
Dopo lo scatto “rubato” del segretario del Pd triste, solitario davanti a una birra in un pub del centro di Roma, adesso c’è il Bersani seduto in un moderno vagone ferroviario.
La sua nuova campagna pubblicitaria: “Destinazione Italia”.
Il titolo sembra l’incrocio tra una canzone, “Destinazione Paradiso” di Grignani, e un film di Totò, “Destinazione Piovarolo”, dove il tempo non passa mai e tutto gira attorno a una frase misteriosa di Garibaldi: “Qui si fa l’Italia socialista o si muore”.
Ma Bersani non è Garibaldi.
Semmai, la sua figura pensosa e disperata, lacerata dall’incubo della dispersione (meglio, scissione) del partito ricorda le fatiche bibliche di Mosè per tenere insieme le 12 tribù d’Israele durante la traversata del deserto.
Anzi, per il leader democrat, figlio del partito emiliano, numericamente è peggio ancora.
Basta rovesciare il 12 ed ecco il 21. Tante sono infatti le correnti, macro e micro, del Partito democratico.
Ventuno tribù litigiose da traghettare oltre il deserto del governo Monti.
Con l’incognita della terra promessa .
Quale: la foto di Vasto o la Grande coalizione permanente? Due visioni agli antipodi e che adesso stanno esplodendo sulla riforma del mercato del lavoro e il tabù dell’articolo 18.
Così, di suo, Bersani non può che frenare in continuazione e tentare mediazioni su mediazioni e conciliare paradossi.
Il primo qualche settimana fa: “Noi siamo qui ma non siamo questo”.
Il secondo nell’atteso incontro con Monti, dove fa capire che anche in caso di mancato accordo sulla riforma del lavoro e sulla governance della Rai, il Pd manterrà il patto di lealtà con il governo fino al 2013.
Sarà sufficiente questo compromesso a tenere ferme le ventuno anime del partito?
La prima, ovviamente, è bersaniana e comprende Fassina, Stumpo, Migliavacca, Orlando, Marantelli, l’ex dalemiano Orfini, l’ex ministro Damiano, il tesoriere Misiani.
A loro volta, i bersaniani si dividono in riformisti e laburisti.
Quest’ultimi sono sulla linea della Cgil, come Fassina e Damiano.
E anche in questo caso non mancano formule surreali per tenere insieme l’impossibile.
Fassina, per andare alla manifestazione della Fiom del 9 marzo, ha fatto ricorso alla “partecipazione senza adesione”.
La seconda tribù, dimagritissima, è quella dei dalemiani: ormai solo lui, l’ex generale Massimo (citazione dal “Gladiatore”), e l’inciucista Luciano Violante.
Subito oltre, terza microcorrente, gli ex dalemiani che si muovono per conto loro: Nicola Latorre, Gianni Cuperlo, Ugo Sposetti, Anna Finocchiaro.
I franceschiniani sono invece la nuova frontiera della possibile scissione, quelli pronti ad andare via assieme ai lettiani (da Enrico, nipote di Gianni), ai veltroniani, ai gentiloniani, forse ai fioroniani.
Nella tribù del capogruppo alla Camera Dario Franceschini ci sono i nomi di Giacomelli, Rosati, Pina Picierno, Bressa (uno dei tre sherpa della delegazione democrat per i colloqui dell’inciucione con Alfano e Casini), pure la Serracchiani.
I Veltroniani, quinta tribù, sono reduci dall’ultima uscita del loro leader: quella contro l’articolo 18, di fatto considerata la nascita del partito montiano.
In Transatlantico circola una battuta: “Sinora Letta e Veltroni non avevano osato la scissione perchè non sapevano dove andare. Adesso invece il contenitore c’è: il partito di Monti”.
Il contenitore ancora non ha simboli e sedi, ma una sola certezza: è di centro, rigorosamente di centro.
L’avanguardia veltroniana è questa: Tonini, Ceccanti, Verini, Martella, Colaninno, l’ex dalemiano Minniti.
La destra del Pd prosegue con i lettiani, sesta corrente: Francesco Boccia, Mosca, Meloni, Ginefra.
Poi ancora con i gentiloniani, i cosidetti ecodem: ovviamente Gentiloni, poi Realacci , Della Seta, Ferranti.
L’ottava tribù è dei fioroniani, dall’ex ministro Beppe: Gasbarra, neo-segretario del Pd laziale, e Gero Grassi.
Nona, sempre a destra, è la corrente dei liberal: Enzo Bianco, Morando, Ichino.
A questo punto, la segnaletica per navigare tra le tribù del Pd si complica di più. Perchè veltroniani, gentiloniani, fioroniani, liberal sono tutti riuniti nel correntone Modem.
I franceschiniani invece si vedono con i fassiani, decima anima (il sindaco di Torino e Marina Sereni), nell’Area Dem.
Dalla destra che sogna la Grande Coalizione permanente agli ulivisti (Parisi, Santagata, Levi, Zampa), ai bindiani (Meduri e Burtone), alla Sinistra di Vita e Nerozzi, all’area Marino-Meta che recentemente ha perso Civati e Scalfarotto.
I mariniani, quattordicesima stazione della via Crucis bersaniana comprendono Morassut e la paladina dei diritti civili Paola Concia, ieri molto incazzata per il dibattito nel partito: “Qua si sta a litigare tra maschi, in modo virile. E i maschi sono distruttivi”. Immagine efficacissima.
Con la quindicesima tribù si torna al centro: gli ex popolari o dc Castagnetti, Duilio, D’Antoni, Marini. Anima numero sedici è il partito dei nuovi cacicchi, cioè neo o ex sindaci. In ordine sparso: Chiamparino, Renzi, Bassolino, De Luca, Emiliano.
C’è anche Zingaretti: per il momento presidente della Provincia di Roma ma probabile candidato per il Campidoglio.
Alla casella 17 la “terra di mezzo” di Marco Follini e Stefano Graziano.
Alla 18, in posizione solitaria, la sinistra Cofferati, che però non lega con Nerozzi. Così come solitario è Bobba, l’unico teodem rimasto.
La ventesima tribù è dell’ex veltroniano Goffredo Bettini, sostenitore del neo-oltrismo.
Oltre Bersani e oltre il Pd. Chiude la lista, l’ultimo arrivato Giacomo Portas, che ha fondato “I moderati”.
Il catalogo del Pd è questo.
La traversata nel deserto rischia di precipitare nei gironi infernali. Ventuno per la precisione.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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