PERCHE’ A LATINA, FEUDO DELLA MELONI, HA VINTO IL PD
INCHIESTE, BANCAROTTE, RETATE E METROPOLITANA FANTASMA: UNA CLASSE DIRIGENTE AFFARISTA E IMPREPARATA
A Latina non ha vinto il Pd. È Fratelli d’Italia che ha perso.
Non c’è bisogno di essere politologi per capire che, all’indomani della lunga notte elettorale che ha visto la riconferma di un sindaco di centrosinistra nel capoluogo pontino, feudo storico di Fdi, qualcosa nella destra locale non ha funzionato.
“La nostra vittoria – spiega ad HuffPost Omar Sarubbo, il capo dei dem locali – è anche il frutto degli anni della vergogna”.
È così che molti latinensi ricordano il lungo dominio delle amministrazioni di centrodestra che si sono susseguite in città ininterrottamente dal 1993 al 2016, l’anno in cui il vincitore di stanotte, Damiano Coletta, sbaragliò il candidato di Fratelli d’Italia con un netto 75 a 25 al ballottaggio.
Inchieste, intercettazioni, arresti, sequestri, grandi opere incompiute, giunte sfiduciate o commissariate (l’ultima, nel 2015, portò al commissariamento del comune).
Nel giro di un decennio la classe dirigente pontina di Fdi è stata sostanzialmente decimata.
Insomma, la bad story che arriva dalla “culla della Fiamma” – Latina già Littoria, fondata dal duce in persona – non rappresenta un biglietto da visita molto incoraggiante per il partito.
D’altronde non sono pochi gli osservatori e gli avversari politici che in questa fase affermano che “Fratelli d’Italia non ha una classe dirigente adatta a governare l’Italia”.
Se i candidati meloniani al parlamento e, in caso di vittoria, al governo possono comunque appellarsi alla presunzione di competenza (“Metteteci alla prova e poi giudicateci”), d’altro canto l’unica vera classe dirigente di Fdi che governa, cioè quella locale, non sta brillando per chissà quali virtù.
È un po’ come se nella rossa Bologna trionfasse un candidato meloniano. Latina infatti si chiama così perché senza il fascismo probabilmente non sarebbe mai esistita. I più anziani la ricordano ancora con l’antico nome di Littoria, scelto personalmente dal duce in piena epopea totalitaria, 1932. Non è solo una questione etimologica. Fin dalle bonifiche delle paludi, questa terra è sempre stata feudo senza rivali di Pnf ed eredi.
Se durante la Prima repubblica le preferenze non convergevano in massa verso l’Msi a causa della sostanziale esclusione degli uomini di Almirante dalla vita politica repubblicana, i voti andavano comunque verso gli esponenti più conservatori della Democrazia Cristiana.
Con la fine della Dc, il “cordone sanitario” intorno ai post-fascisti decadde. E l’Msi conquistò la città prediletta nel 1993. Questa divenne la consuetudine – dopo l’Msi anche con An, Pdl e infine Fdi – per il capoluogo dell’agro pontino. Almeno fino al 2016, con la vittoria di una coalizione civica di centrosinistra guidata dall’ex idolo calcistico locale Damiano Coletta.
Ed è per questo che spicca anche all’occhio dei più digiuni di vicende politiche come alla crescita su scala nazionale della Fiamma, inimmaginabile fino a pochi anni fa, è coincisa la sostanziale crisi della stessa nel suo feudo più identitario.
Una crisi iniziata ben prima di quella storica notte di giugno di sei anni fa, quando il centrosinistra conquistò Latina per la prima volta nella sua storia. “La terza sconfitta di fila di Fdi – racconta ad HuffPost un ex amministratore locale che conosce a fondo le dinamiche pontine – è prima di tutto il frutto del loro malgoverno”. Non è una questione di destra/sinistra. “I latinensi restano una popolazione storicamente e ideologicamente di centrodestra. E tale rimarrà. Ma il problema è che qui la destra ha combinato disastri, soprattutto negli ultimi anni di amministrazione targata Pdl-Fdi”.
Nel 2010 il sindaco pidiellino in quota An Vincenzo Zaccheo – sconfitto da Coletta nell’ultima tornata elettorale – fu sfiduciato dal suo stesso consiglio comunale dopo essere finito a Striscia La Notizia in un fuorionda dove faceva pressioni sull’allora governatrice del Lazio Renata Polverini. L’obiettivo, emerge dall’inchiesta televisiva, era quello di fermare gli appalti finiti nelle mani di aziende legate ad un suo rivale. Nel 2015 il suo successore Giovanni Di Giorgi, lui in quota Fdi, fu prima commissariato e poi arrestato, insieme a mezzo partito locale, per un presunto danno alle casse pubbliche locali da svariati milioni di euro collegate ad altri appalti che secondo l’accusa sarebbero stati pilotati a favore di aziende amiche dell’amministrazione.
§“Non è solo una questione di nomi” prosegue il suo racconto ad Huffington Post l’ex politico che preferisce conservare l’anonimato.
“A guidare Latina è stato un sistema, un’organizzazione per condurre affari e interessi personali a spese della città. Di opere pubbliche incompiute o male amministrate se ne contano a decine: dalla piscina comunale al progetto della Metro fantasma”.
Nelle intenzioni dell’allora sindaco Zaccheo – correva l’anno 2004 – il comune avrebbe costruito entro pochi anni una metropolitana leggera in grado di connettere il centro città con l’area della stazione. “Nonostante due finte inaugurazioni con tanto di taglio del nastro tricolore, la metro a Latina non si è mai vista”. E poi ancora: il fallimento di Latina Ambiente, l’acquisto con fondi pubblici di immobili mai destinati all’uso. Le bancarotte: la Terme di Fojano Spa, società comunale che aveva il compito di amministrare l’omonimo comprensorio poco fuori città, a due passi dal parco nazionale del Circeo è stata dichiarata fallita dai giudici nel 2017, dopo oltre vent’anni di spese pazze ad opera delle amministrazioni che si sono susseguite alla sua guida.
“Non hanno avuto la forza di rinnovarsi, di costruire un percorso di rottura con le illegalità del passato” dichiara il segretario locale del Pd, Omar Sarubbo: “In Fdi sono rimasti legati ad un’idea di Latina del passato: una campagna elettorale basata sul riprendiamoci ciò che è nostro senza rendersi conto che le cose sono radicalmente cambiate. Certo, siamo e restiamo una città d’orientamento di centrodestra, ma la nostra proposta ha avuto e sta avendo successo proprio perché abbiamo chiuso con le divisioni ideologiche del passato”. E per farlo, Partito Democratico e alleati hanno scelto quello che, come si suole dire, è il classico un nome, una garanzia: Damiano Coletta. Alla maggioranza dei lettori non pontini il nome non dirà molto, ma a Latina è considerato da sempre uno dei simboli della città.
Medico cardiologo dirigente del locale ospedale, è stato prima di tutto calciatore professionista. Ex giocatore di Serie B con il Pescara negli anni Novanta, molto legato al suo territorio, Coletta ha contribuito in maniera decisiva alla rifondazione del Latina Calcio nel 2007 dopo il fallimento della società precedente. Un impegno che lo ha reso personaggio di spicco in città, capace di riunire intorno al proprio attivismo cittadini di tutte gli orientamenti politici.
Non a caso Coletta non è un ufficialmente un esponente del Pd, ma solo il leader di una lista civica. “Una scelta, quella di non entrare nel Pd – sostiene l’ex amministratore locale latinense ai nostri taccuini – dovuta proprio all’intento di attirare a se anche elettori di destra. Un’operazione più semplice se condotta senza simboli di partito in primo piano”.
La scelta di Coletta ha pagato. Lo dicono le sue vittorie nel 2016 – prima volta del centrosinistra alla guida della città – e nel 2021. Dopo un breve commissariamento iniziato a luglio di quest’anno, disposto da Tar e Consiglio di Stato sulla base di irregolarità registrate in alcune sezioni elettorali durante lo scrutinio, Coletta ritornerà sindaco grazie al risultato di ieri: nelle ventidue sezioni tornate al voto su disposizione dei giudici amministrativi, l’avversario di Fdi Zaccheo, già sindaco – come anticipato – sfiduciato in consiglio comunale dalla sua stessa maggioranza dodici anni fa, non è riuscito ad ottenere abbastanza preferenze, rendendo così inutile la ripetizione anche del ballottaggio.
Zaccheo, Di Giorgi e via dicendo. Storie di una classe dirigente, quella di Fdi, accusata da più avversari, durante l’attuale campagna elettorale, di essere “inadeguata” e “non matura per il governo di un grande paese”. Ma gli “anni della vergogna” a Latina, già Littoria, non sono affatto un bel biglietto da visita per Giorgia.
(da agenzie)
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