PERCHE’ SOLO LE DONNE SANNO BATTERE MELONI
LE VITTORIE CHE HANNO SPIAZZATO I SOVRANISTI PORTANO TUTTE UNA FIRMA ROSA
Ma guarda tu. Donne che votano le donne, uomini che votano le donne, e Silvia Salis che vince insieme ad altre tredici signore (sui 24 consiglieri eletti nelle liste della maggioranza a Genova). E mica solo lei. Dall’altra parte la più votata è Ilaria Cavo, Noi Moderati, un partito assai piccolo che però aveva la faccia giusta nel momento giusto: la faccia di una donna. Vai a vedere che l’effetto Giorgia Meloni c’è davvero, ma si manifesta nel più imprevedibile dei modi. Da un lato punisce la destra titolare di molti primati in materia di donne – prima premier, prima presidentessa del Senato, prima capa di questo e quello – ma avara di nomination femminili quando sceglie le candidature di territorio. Dall’altro, premia il mondo di sinistra, per molti anni scavalcato dai conservatori nella gara dell’enpowerment politico femminile e adesso, quasi casualmente, diventato agente del contropotere rosa.
Sono tutte donne le protagoniste delle sfide elettorali che hanno fatto più male al centrodestra di governo, a cominciare da Virginia Todde, assai sottovalutata dalla maggioranza di Palazzo Chigi che si sentiva sicura di vincere in Sardegna, con i suoi campioni di lungo corso contro una
ragazza: figuriamoci chi la vota, figuriamoci chi la vuole, pure mezzo Pd preferisce Renato Soru. Calcolo sbagliatissimo. Todde prevalse alla grande e regalò ai progressisti un’insperata boccata d’ossigeno dopo la debacle delle Politiche.
Pochi mesi dopo, nel novembre 2024, Stefania Proietti riconquistava ai progressisti l’Umbria, sull’onda della vittoria di un’altra donna di sinistra, la sindaca di Perugia Vittoria Ferdinandi: tutte e due partite svantaggiate, in un quadro nazionale che raccontava le destre come invincibili.
E adesso Salis, un’altra sottostimata dalla maggioranza, convinta che i genovesi avrebbero preferito a una debuttante l’usato sicuro di un uomo di mezza età, con un lungo percorso amministrativo, un “uscente full optional” che però non ha scaldato neanche i cuori della sua parte.
Forse è arrivato il momento di aggiornare certi stereotipi. Il principale è la resistenza dell’elettorato a votare le donne, che secondo una vecchia narrazione non piacciono alle altre donne per il fattore “Eva contro Eva” e agli uomini vabbè, perché obbedire a una signora non è nel dna nazionale. E tuttavia, i dati di partecipazione parlano chiaro: a Genova per la prima volta dopo molto tempo le elettrici femmine sono state di più degli elettori maschi (52 per cento contro 51) ed è anche merito loro se la galoppata dell’astensionismo si è arrestata. Sono andate ai seggi così massicciamente perché c’era una di loro candidata a sindaco, perché molte di loro erano nelle liste? Ponetevi la domanda, signori, e cominciate a chiedervi se le vecchie resistenze a dare spazio alle donne («Ma chi le conosce, chi le vota?») non risultino autolesioniste in questi tempi nuovi e strani.
L’altro standard demolito dal voto di domenica riguarda il modo di fronteggiare questo contropotere rosa emergente, queste signore con carriere da brivido, atlete olimpiche super-medagliate (Salis), imprenditrici cosmopolite (Todde), ingegnere e accademiche di lungo corso (Proietti) e tutte le altre. Giocare sul maschilismo, che si ritiene innato nell’elettore medio italiano, non funziona più. Dire «Le elezioni non sono un concorso di bellezza» non serve. Dire «Non basta il trucco e il bell’aspetto» è irrilevante. Chiedersi retoricamente «Volete dare a Genova una persona graziosa, ma che non sa niente di politica?» porta qualche applauso nei comizi ma non aiuta a vincere. Sono frasi tratte dall’ultima campagna in Liguria, ma sono state pronunciate praticamente ovunque ci fosse una donna candidata (anche di destra, intendiamoci). Il massimo si è raggiunto in Umbria dove il centrodestra, pensandolo determinante per la vittoria, si associò al partitino dell’ultra-maschilista Stefano Bandecchi, uno che paragonava la candidatura di una donna a quella di un cammello («Se è bravo, metto in lista pure lui»). Si sa come è finita. Bisognerà trovare un altro registro oltre il copione dell’insinuazione sessista.
A destra si impone anche qualche ragionamento più largo. Finora, la maggioranza ha certificato la sua amicizia con le donne dicendo: abbiamo eletto la prima premier d’Italia, siamo a posto così. È un argomento solido e poco contestabile perché mai il mondo progressista ha incoronato una possibile premier donna pur avendo nelle sue fila signore molto popolari e competenti. Ma alla prova dei fatti “l’effetto Meloni” sembra aver agito più sul fronte progressista che su quello conservatore: per paradosso ha incoraggiato i passi avanti delle donne di sinistra, prima con l’investitura popolare ad Elly Schlein e poi con l’affermazione sui territori di donne capaci di gestire campagne elettorali complicate, accordi, liste, strategie, e missioni quasi impossibili di riconquista su territori persi da tempo. Riconoscere che quell’effetto c’è davvero, e tenerlo in considerazione oltre le vanterie da talk show, potrebbe essere un punto di ripartenza per la coalizione di governo mentre la sfida delle prossime Regionali incombe, e non si sa bene con chi affrontarla
(da lastampa.it)
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