PLUFF, MONTI BUCA IL PALLONE
“FERMARE I CAMPIONATI”, ZAMPARINI: “PREMIER INDEGNO”, ABETE: “NON SI PUO’ FARE”….E A PALERMO RETATA PER IL TOTONERO
In fondo alle esperienze si trova coraggio. Superata l’afasia, la parola prende il volo. Forse è solo campagna elettorale. Si vedrà .
Dopo aver riflettuto sulla discarica di Villa Adriana, Mario Monti si occupa di altra spazzatura.
Rifiuti che emanano l’odore nauseante di qualcosa coperto troppo a lungo.
“Mi domando se per due o tre anni non gioverebbe una totale sospensione del calcio. Non è una mia proposta o una risoluzione del governo, ma la riflessione di una persona che era appassionata di questo sport, quando il pallone era ancora tale”.
Poi, liberato, Monti affonda. Cita il ricatto. L’omertà .
Le connivenze: “È particolarmente triste e fa rabbrividire quando una disciplina che dovrebbe esprimere i valori più alti si rivela un concentrato di fattori deprecabili. In questi anni abbiamo assistito a fenomeni indegni”.
Basta per segnare la tanto evocata discontinuità , veder accorrere Gianfranco Fini, travestito da pompiere: “Le parole di Monti non vanno interpretate alla lettera”, e far incazzare Gianni Rivera: “Provo dispiacere. In Monti avevo fiducia, ma ha detto frasi fuori luogo e fuori tempo. Non sono un difensore della corporazione, ma non bisogna esagerare e queste uscite non le capisco”.
Se voleva essere l’ultimo disperato tentativo di stupire, Monti non ha fallito.
Turbato i sonni già agitati di un universo da sempre abituato a essere ricevuto a Palazzo Chigi o al Quirinale, in cerca di perdonismi, battute o amnistie nell’imminenza di Mondiali o Europei.
Questa volta, si intuisce, andrà diversamente.
Non si sospenderà nessun torneo, ma si cercherà di far pulizia con inedita durezza. In tempi brevi.
Il giorno dopo è stato simile al precedente. Caos.
Erano ancora negli occhi le luci blu delle volanti, gli arresti di Stefano Mauri, Omar Milanetto e delle altre comparse funzionali alla suburra da retropalco.
Ancora nella testa le perquisizioni casalinghe di tanti giocatori di Serie A e il lodevole impegno dei loro legali, concentrati con facce da podio e morali in cantina, nel negare l’evidenza.
E poi gli imbarazzi del lunedì nero della Nazionale a Coverciano, i balletti dialettici di Cesare Prandelli su Leonardo Bonucci (senza avviso di garanzia e ancora in gruppo) e Domenico Criscito (indagato e ormai a casa sua), l’indignazione sic di Antonio Conte per non essere stato interrogato dai magistrati prima che i poliziotti, applicando una loro precisa direttiva, cercassero in telefoni e computer conferma alle parole del pentito Filippo Carobbio (ex Siena): “L’attuale allenatore della Juve sapeva delle combine”.
Il solito minuetto volto a tenere unito un giocattolo in frantumi con una Lega allo sbando e il presidente federale Giancarlo Abete che riesuma un cavallo di battaglia dialettico del Berlusconi più loquace.
La demonizzazione.
Dopo aver avvertito: “Condivido l’amarezza, ma quella di Monti non è la soluzione”, Abete intona la litania: “ Il calcio è nella società civile. Non è meglio, ma non è neanche peggio. No alle demonizzazioni”.
Che il momento fosse grave si era capito già nella nottata di lunedì.
L’interessato controcanto a reti unificate dell’azionista di maggioranza Sky (oltre 400 milioni di euro annuali erogati alle società di A e B) per voce di una preoccupata Ilaria D’Amico, era esondato in una serata monografica a tema: “Il protagonismo dei magistrati e la giustizia spettacolo”.
Tutto prevedibile. Tutto fuori sincrono.
La realtà parla una lingua che i padroni del vapore non possono interpretare.
Mentre i suoi colleghi, ecumenici, da Claudio Lotito, Lazio, ad Andrea Agnelli, Juve, cianciano di “assoluta estraneità delle società ” o di calciatori sinceri (non sia mai che parlino davvero) utilizzando una formula empirica buona per tutte le stagioni, ma non esattamente a prova di tribunale: “Ci siamo guardati negli occhi e ho capito che il ragazzo non mentiva”.
Del salto di qualità e del rumore si incarica il domatore del circo, uno specialista, Maurizio Zamparini, padrone del Palermo.
Anche se trascina in Sicilia questa non è una storia semplice.
E Zampa fa quello che sa fare meglio. Urla: “L’unica cosa indegna in questo Paese è che uno come Monti osi dire quel che ha detto: ci sta massacrando, sta distruggendo l’Italia. Dovrebbe pensare prima di parlare. Prima di dire che bisogna chiudere il calcio, dovrebbe riflettere sui suoi problemi e su tutto ciò che sta facendo chiudere con i suoi provvedimenti. Monti dimostra di essere ignorante perchè allo Stato, ogni anno, le società di calcio versano 800 milioni di euro”.
Purtroppo per Zamparini, ieri a Palermo ci sono stati arresti per totonero, scommesse clandestine.
E nel mucchio, è apparsa una sua vecchia conoscenza: Giovanni Pecoraro, un ex dipendente di Zampa che lavorava nella doppia veste di procuratore sportivo e responsabile delle giovanili.
Già messo in carcere (e scagionato) anni fa per concorso esterno in associazione mafiosa.
Pecoraro è tornato dietro le sbarre, con l’agghiacciante corollario dettato dal magistrato Antonio Ingroia, a fare chiarezza: “Tutto il settore del gioco clandestino, compreso quello del calcio, è da tempo gestito da Cosa nostra. Da un libro mastro scovato a casa di Provenzano abbiamo ricostruito a tappeto la rete di chi gestiva le scommesse”.
È strano che Zamparini non ricordi, perchè come mise a verbale l’ex avvocato del boss Salvatore Lo Piccolo ed ex buon amico di Pecoraro, Marcello Trapani, oggi collaboratore di giustizia, mafiosi e capi tifosi a Palermo, erano soliti andare assieme allo stadio spartendosi biglietti omaggio della società .
“L’incontro fu sollecitato dall’allora direttore sportivo Rino Foschi — sostenne Trapani — dopo che era stato contestato dai tifosi, per la riduzione dei biglietti omaggio”.
Il quadro è questo. Era lo stesso anche ieri.
Domani, forse, mancherà la cornice.
Antonio Massari e Malcom Pagani
(da “Il Fatto Quotidiano“)
Leave a Reply