POST COVID; GLI ANZIANI RIPARTONO, I GIOVANI NO
CENSIS: LA PANDEMIA HA ACCRESCIUTO IL “RISENTIMENTO NAZIONALE”
Che paura per gli anziani nel 2020-21, l’anno del Covid. Quanti malati, quanti ricoverati, quanti morti. Però per gli anziani che non hanno preso la malattia o l’hanno superata e ora sono nella maggior parte vaccinati, l’anno trascorso – se si guarda all’indietro – non è poi stato così orribile, e anzi se la sono cavata meglio degli adulti e dei giovani nella gestione di queste improvvise e inedite difficoltà.
Secondo il Censis, la grande maggioranza di loro, il 69,3 per cento esattamente, non ha sofferto di un forte stress psico-fisico nella pandemia.
È andata peggio ad adulti (soltanto il 34,1 per cento ha detto di non aver sofferto per questo motivo) e ancor più ai giovani (23,3 per cento).
Sembra incredibile ma è così: la ricerca “La silver economy nell’anno più nero”, presentata oggi da Giuseppe De Rita, presidente del Censis, mostra che chi ha i capelli bianchi è riuscito a resistere meglio. “Coriacei nel sostenere le inattese difficoltà del Covid-19 – si legge – pronti a riprendersi la vita attiva con una rinnovata cura per se stessi, relazioni, consumi, viaggi: ecco gli anziani proiettati oltre clausure, restrizioni, solitudini forzate in questi 16 mesi d’emergenza”.
Insomma, anziani più resistenti di adulti e giovani. Questi ultimi, in particolare, sono stati colpiti più duramente: “la vita claustrofobica, l’amputazione relazionale, il bando dei tanti piaceri da luoghi pubblici” hanno svuotato in modo clamoroso le loro vite. Non solo.
Dal punto di vista economico gli anziani, il cui reddito arriva perlopiù dalla pensione fissa, hanno accresciuto la loro ricchezza: il 67,8 per cento di loro, quindi oltre due terzi, sostiene che sia migliorata (avendo risparmiato durante la pandemia), contro il 53,5 per cento del resto della popolazione.
“Del resto – si legge nella ricerca – nell’emergenza il grado di certezza del reddito ha discriminato tra chi ha subito colpi e chi no, e gli anziani percettori di reddito sono nel girone buono.
In definitiva, la pandemia ha allargato ancora di più il solco tra i vecchi, percepiti come “ricchi” se non altro perché non hanno perso nulla dei loro redditi, e i giovani, molti dei quali hanno perso il lavoro, o hanno aumentato la loro precarietà.
Di conseguenza è aumentato il “risentimento generazionale”: il “54,3 per cento dei giovani pensa che si spendano troppe risorse pubbliche per gli anziani, ed erano il 35 per cento l’anno scorso”, si legge nella ricerca. E non basta: il 74,1 per cento dei giovani ritiene che ci siano troppi anziani in posizione di potere, “dall’economia alla società fino ai media. Gerontocrazie che rendono lividi i giovani”, chiosa chi ha stilato lo studio.
Al contrario, gli anziani vedono se stessi – con la loro ricchezza stabile, non scalfita dal Covid, e dunque di fatto rafforzata – come un bancomat per figli e nipoti.
Ben l’88,7 per cento di loro ne è convinto. Il bello è che anche il 67 per cento degli adulti lo riconosce e persino il 50,8 per cento dei giovani lo ammette. Da qui il paradosso: “Le pensioni – si legge nello studio – sono, in moltissimi casi, un finanziamento a fondo perduto in incognito per i giovani: sono risorse che partono dalla previdenza sociale, transitano sui conti correnti degli anziani e arrivano a destinazione sui conti correnti di figli e nipoti.
La perdurante contrapposizione vecchi-giovani è però il segnale che la “ferita intergenerazionale è ancora lì sul piano sociale e non si è rimarginata, anzi si è approfondita”.
Eppure, nonostante tutto, i giovani non sono insensibili alle esigenze degli anziani. Per il 76,8 per cento di loro gli anziani non autosufficienti dovrebbero poter restare, con opportuni aiuti pubblici, nella propria casa. Fra gli adulti la percentuale arriva all’85 per cento e fra gli anziani all’88,4 per cento.
Per tutti infatti c’è grande sfiducia nelle residenze per anziani e l’eventualità di accrescere la qualità di queste strutture non è vissuta da nessuno come una soluzione proponibile: né per gli anziani (ci crede soltanto l’11,6 per cento) né per gli adulti (14,6 per cento) né per i giovani (23,2 per cento).
Tutti, insomma, vorrebbero che chi è colpito da disabilità da vecchio possa rimanere a casa propria ma – avvertono gli autori dello studio – “nel lungo periodo la tenuta delle reti familiari al livello attuale è altamente improbabile, vista la tenaglia fra l’incremento del numero di anziani non autosufficienti e l’assottigliamento dei nuclei familiari”. Al momento, però, “è ancora decisivo il ruolo delle badanti, e ben 7 italiani su 10 sono favorevoli a erogare sussidi agli anziani la cui assistenza è affidata a una badante”.
Ma questo è il futuro, più o meno prossimo.
Al momento la ricerca fotografa, all’indomani della fase più acuta della pandemia, una ritrovata gioia di vivere di questi anziani indistruttibili, rafforzati, secondo la ricerca, da un’infanzia e un’adolescenza contraddistinte da scarsità e sofferenze: il 43,4 per cento di loro dichiara di voler curare adesso di più l’aspetto fisico.
Mentre il 66,4 per cento è pronto a fare almeno un viaggio o vacanza in Italia, il 38,4 per cento vuole far lo stesso ma recandosi all’estero. Il 57,3 per cento dichiara che trascorrerà almeno un weekend in Italia con pernotto in hotel, il 29,7 per cento almeno un fine settimana all’estero.
E “il 46,3 per cento correrà a sedersi ai tavolini di ristoranti, trattorie, osterie, enoteche e altri servizi pubblici”. Chiosano infine gli autori del report: “ecco il furore di vivere degli anziani che annuncia, anche per loro, una rivincita dei piaceri, della relazionalità e dei consumi”. Saranno anche la silver economy, ma per loro è ancora una golden age.
(da Huffingtonpost)
Leave a Reply