PRIMARIE PD IL 30 APRILE, RENZI CEDE ALL’ASSE FRANCESCHINI-FASSINO
L’AVVERSARIO PIU’ TEMUTO E’ ORLANDO
Le primarie per l’elezione del segretario del Pd si terranno il 30 aprile. Una data, un nuovo patto tra Matteo Renzi e i suoi principali sponsor nel Partito Democratico: Dario Franceschini e Piero Fassino.
Il segretario uscente ha perso la partita sui tempi e si prepara al congresso senza lo schema di gioco che ha avuto finora: quello del controllo totale del partito.
Voleva tenere le primarie il 9 aprile, per non dare tempo agli avversari di organizzarsi: al pugliese Michele Emiliano, la torinese Carlotta Salerno, il ligure Andrea Orlando, di fatto il più temuto da Renzi.
Ma ha dovuto cedere alla pressione di Fassino e di Franceschini di tenere l’assise un po’ più in là , il 23 aprile: per mettere in sicurezza la legislatura, chiudere definitivamente la finestra elettorale per il voto a giugno.
La protesta di Emiliano e poi di Orlando ha spinto la data al 30 aprile, definitiva, approvata all’unanimità nella riunione fiume della commissione congresso, discussioni infinite e litigi. “Ora si può dire che il 30 aprile chiude definitivamente il dibattito sul voto a giugno…”, sigla Fassino nella direzione che ratifica le scelte della commissione.
Sergio Mattarella da Shangai benedice lanciando un nuovo appello alla stabilità rivolto anche all’Italia: “E’ di stabilità che le relazioni internazionali, e non soltanto a livello bilaterale, hanno maggiore bisogno”.
Il 7 maggio sarà un’assemblea nazionale a proclamare il segretario votato dalle primarie, come da regolamento. Il 9 aprile si terrà la convenzione programmatica che ratificherà il voto dei circoli ed escluderà dalle primarie il candidato che non ha raggiunto il 15 per cento dei voti.
Entro il 6 marzo vanno presentate le candidature ufficiali, entro il 10 aprile vanno presentate liste a sostegno di ogni candidato.
“Dario e Piero hanno vinto. Cos’altro vogliono?”, nota una fonte renziana per esorcizzare l’ipotesi che Franceschini e Fassino possano avanzare ulteriori richieste a Renzi, magari fino al punto di minacciare di spostarsi su Orlando.
“Possono anche presentare la loro lista per l’elezione dei delegati in assemblea”, sottolinea la stessa fonte facendo notare che si va a primarie con lo stesso regolamento del 2013.
E cioè ogni candidato può essere sostenuto da una o più liste. Insomma, Dario e Piero ‘non hanno più nulla a pretendere’, questo il senso di un ragionamento che tende a legare a triplo filo i due esponenti di Areadem a Renzi.
Perchè quest’ansia?
I sondaggi del Nazareno danno Renzi in netto vantaggio su Orlando ed Emiliano, i principali avversari.
Eppure da quando il Guardasigilli è sceso in campo, l’ex premier tende a misurarsi con lui, in qualche modo ne teme la forza nel partito. Perchè Orlando è un ex Ds, ‘figlio’ ed erede di quella storia, uno che riesce a interrogare gli ex Pci che finora hanno appoggiato Renzi, da Anna Finocchiaro a Marco Minniti, uno che va a solleticare lo stesso patto fondatore del Partito Democratico e che stuzzica la voglia che c’è nel Pd di contare di più rispetto al segretario.
“Non farei il segretario-premier”, butta lì Orlando. E in più ecumenico: “Può piacere alla comunità gay e pure ai cattolici”, ammette un renziano.
E c’è chi nota anche che Orlando è riuscito in poco tempo a prendere il controllo dei Giovani Turchi del Senato, sfilandone ben 15 (su 17) a Matteo Orfini, rimasto alleato di Renzi.
Insomma, pur sentendosi in vantaggio, Renzi è costretto a misurarsi con uno schema di gioco che non gli assegna il dominio assoluto del partito.
Lo dimostra la mediazione subìta sulla data delle primarie. Ora il segretario non vorrebbe mediare oltre. Ma certo, se alle primarie sarà eletto con meno del 50 per cento dei voti, saranno i delegati dell’assemblea nazionale ad eleggere il segretario e a quel punto è tutto da vedere: tutto aperto, troppo presto per qualsiasi palla di vetro della politica.
Ma queste sono le riflessioni della vigilia, mentre Renzi si prepara a tornare dalla California già nel weekend per immergersi in una serie di appuntamenti a Milano.
Da premier, ogni anno non ha mai mancato la settimana della moda, quest’anno ci arriva alla fine.
In ogni caso, la sua campagna elettorale inizia dal capoluogo lombardo: domenica sera in studio da Fabio Fazio a ‘Che tempo che fa’ su Raitre e poi iniziative nella Milano del sindaco Beppe Sala e dell’ex sindaco Giuliano Pisapia per tutta la giornata di lunedì.
Dal 10 al 12 marzo appuntamento invece al Lingotto a Torino, per il lancio ufficiale della campagna: lì saranno chiare anche le parole d’ordine.
Si parte, dunque. Orlando a caccia di nuovi sostenitori: “Darò delle sorprese: alla mia candidatura stanno aderendo personalità che provengono da altre storie”.
Emiliano che punta a pescare fuori dal Pd. Un po’ come Renzi che sa di contare su alleati poco entusiasti di lui e spera nelle primarie aperte, pur interrogandosi sull’appoggio esterno degli scissionisti che potrebbe andare a favorire Orlando.
“Con lui si potrebbe riaprire il dialogo”, dice persino Massimo D’Alema.
Orlando chiarisce il suo pensiero sui ruoli: “è sempre più difficile che il segretario del partito di maggioranza relativa sia anche il presidente del Consiglio. Personalmente, per i limiti che mi riconosco, non sarei in grado di fare le due cose contemporaneamente”-
Certezze non ce ne sono per nessuno. E c’è anche chi come il costituzionalista Stefano Ceccanti mette in dubbio che la finestra elettorale di giugno sia chiusa.
“E’ un’illusione ottica ritenere che avendo il Pd fissato le primarie il 30 aprile ciò escluda di per sè elezioni, così come esse non vi sarebbero state automaticamente se si fosse scelto il 9 aprile. Sono le logiche istituzionali che trascinano quelle dei partiti, non viceversa”, dice Ceccanti.
Anche perchè: “Il Governo Gentiloni nel momento in cui si costituiranno i gruppi scissionisti, e che si noterà che al Senato quel gruppo sarà decisivo per la maggioranza, avrà almeno in parte cambiato natura. Da Governo basato su una maggioranza diventerà Governo di minoranza”.
Cosa che potrebbe mettere a rischio l’approvazione della legge di stabilità in autunno: “Qualora non vi fosse prima uno scioglimento anticipato, il Governo aprirebbe la sessione di bilancio in autunno niente affatto sicuro di portare a casa il risultato…”.
L’unica certezza è che al massimo entro il 7 maggio il Pd avrà eletto il segretario.
(da “Huffingtonpost”)
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