PROFUGHI, NESSUNA INVASIONE: AL 15 LUGLIO 2016 79.533 ARRIVI CONTRO I 79.618 DELLO STESSO PERIODO DELL’ANNO SCORSO
IL NUMERO TOTALE DEI RIFUGIATI ASSISTITI E’ DI 135.785 PERSONE, DUE OGNI MILLE RESIDENTI, MENO DELLA MEDIA EUROPEA, SEI VOLTE MENO DI AUSTRIA E SVEZIA… OCCORRE POTENZIARE LO SPRAR E UNA MAGGIORE ORGANIZZAZIONE
La situazione, a leggere le prese di posizione di molti politici locali, sembra fuori controllo.
Per ora però – nonostante sia stata chiusa la via di accesso attraverso la Turchia e i Balcani – dal punto di vista numerico gli sbarchi non sono aumentati.
Numeri sostenibili
Insomma, il modello italiano di accoglienza diffusa è davvero condannato a franare sotto il peso della «pressione insostenibile» delle nuove ondate di migranti?
Può darsi, dicono gli esperti: ma perchè è un sistema che non funziona, e non per un afflusso esagerato di profughi e rifugiati.
L’Italia ha meno stranieri rispetto ad altri paesi (l’8,3% dei residenti, contro il 9,3 della Germania e il 9,6% della Spagna); gli sbarchi sono assestati più o meno ai livelli del 2015 (erano stati 79.618 al 15 luglio 2015, ora siamo a 79.533).
Il numero dei rifugiati gestiti dal sistema di accoglienza, pur se aumentati rispetto al 2015, è decisamente modesto per un Paese di 60 milioni di abitanti: in tutto sono 135.785 persone, poco più di due ogni mille residenti.
Meno della media europea, cinque o sei volte meno di Paesi come Austria o Svezia, dove ci sono 11 o 15 rifugiati ogni 1000 abitanti.
Non siamo nemmeno particolarmente generosi con la concessione dello status di rifugiato: nel 2015 ci sono state 83.200 richieste, ne sono state accolte 29.630.
Sprar ed emergenza
Un sistema di accoglienza che nel nostro Paese è spaccato a metà : da una parte il nuovo «Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati», lo Sprar, nato con la riforma del 2015. Dall’altra il sistema di emergenza gestito dai prefetti: strutture «temporanee» ma eterne, e centri di prima accoglienza.
Nel primo caso i Comuni – sono 800 ad aver aderito volontariamente – sanno sempre chi arriva e dove viene collocato, e forniscono servizi per l’integrazione di discreta qualità che aiutano l’inserimento dei rifugiati.
Nel secondo caso la procedura è straordinaria: i prefetti, se necessario, possono liberamente inviare rifugiati in una città senza chiedere il permesso, la qualità del servizio è scarsa, le strutture sono gestite da privati o coop che si limitano spesso a fornire solo alloggio e vitto. E arricchendosi, come abbiamo visto con la vicenda di «Mafia Capitale».
Come spiega Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di Solidarietà di Trieste e uno degli «inventori» dello Sprar, il modello italiano di integrazione «in realtà non esiste».
«Non c’è programmazione nè coordinamento – afferma – e così si arriva a una distribuzione delle persone in accoglienza del tutto ineguale: da una parte ce ne sono troppi rispetto alle possibilità , in altri posti praticamente non ce ne sono. Il risultato è il caos».
Basti pensare che il sistema Sprar oggi ospita solo 20.347 rifugiati; le strutture «temporanee» e di «prima accoglienza» (considerati a volte dei lager, o nella migliore delle ipotesi fucine di noia e rabbia) ben 113.622.
E anche lo Sprar, peraltro, sta entrando in sofferenza: l’ultimo bando ha visto adesioni insufficienti da parte dei Comuni.
E, unici in Europa, restiamo senza misure per l’inclusione sociale delle persone a cui è riconosciuto il diritto di asilo.
Appena arriva lo status cessa l’accoglienza, spiegano gli operatori sociali; e puoi finire subito in mezzo alla strada.
Serve programmazione
Come uscirne, come ripartire sul territorio i rifugiati nel modo più razionale?
Per Schiavone la strada da percorrere è l’estensione del sistema Sprar, cui tutti i Comuni devono obbligatoriamente aderire ricevendo in cambio risorse e incentivi, «per poter gestire le presenze sul territorio in modo intelligente ed equo.
Questo – spiega – è il metodo per fare vera inclusione sociale, smontare le paure dei cittadini e gestire bene il problema, con cui dovremo confrontarci a lungo in futuro».
Dello stesso avviso è Giulia Capitani, policy advisor di Oxfam Italia per immigrazione e asilo: «Va esteso Sprar – afferma – e ridotto il sistema “straordinario”. E da subito occorre un monitoraggio serio e indipendente del funzionamento dei centri d’accoglienza che ricevono soldi pubblici, a volte come sappiamo fornendo servizi pessimi».
Roberto Giovannini
(da “La Stampa”)
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