PUTIN HA DUE CAVALLI DI TROIA A BRUXELLES: IL NAZIONALISTA E FILORUSSO PETER PELLEGRINI, ELETTO PRESIDENTE DELLA SLOVACCHIA, AFFIANCHERÀ VIKTOR ORBÁN NELLA SUA OPPOSIZIONE ALLE MISURE EUROPEE PRO-UCRAINA (AIUTI) E ANTI-RUSSIA (SANZIONI)
L’AMBASCIATORE STEFANINI: “IL CASO SLOVACCO È LA PUNTA DELL’ICEBERG. LA MASSA DI GHIACCIO CHE PUÒ AFFONDARE IL TITANIC DELLA RESISTENZA UCRAINA SONO I SENTIMENTI FILORUSSI DEL RASSEMBLEMENT NATIONAL IN FRANCIA E DI AFD IN GERMANIA, NON SCONOSCIUTI NELLA NOSTRA LEGA”
Il vento di Bratislava spira a favore degli amici, europei e americani, di Vladimir Putin. Viktor Orbán non ha perso tempo a congratularsi. A ragione. Con l’elezione di Peter Pellegrini alla presidenza l’allineamento della Slovacchia all’Ungheria è completo. Negli equilibri europei Bratislava non è certo un peso massimo – non lo è neanche l’Ungheria se è per quello – ma affiancandosi a Budapest rafforza il potere di interdizione, e di ricatto, nel cui uso il primo ministro ungherese è maestro sia nell’Unione europea che nell’Alleanza Atlantica. Quando si decide all’unanimità essere in due fa massa.
Questo significa che sia nell’Ue che nella Nato, alla vigilia di appuntamenti importanti – elezioni europee, ultimi Consigli europei prima del cambio di Commissione, vertice Nato di Washington – l’opposizione alle misure pro-Ucraina (aiuti) e anti-Russia (sanzioni) ha oggi due portavoce, aspettandone altri. Soprattutto aspettandone altri.
Il passaggio di Bratislava nel campo ungherese era già maturato col ritorno al governo di Robert Fico, dopo la vittoria del suo partito Smer alle parlamentari in settembre. A parte l’immediata interruzione degli aiuti militari bilaterali a Kiev, egli aveva mantenuto a Bruxelles un basso profilo.
Pur senza nascondere indulgenza verso la guerra di Vladimir Putin, Fico non ha finora messo i bastoni fra le ruote, lasciando il ruolo di guastafeste allo stagionato collega ungherese. Al suo defilarsi contribuiva la resistenza interna da parte della Presidente slovacca, Zuzana Caputová, entusiasticamente pro-Ucraina.
Il primo ministro (Fico) detiene i poteri esecutivi, ma la Costituzione slovacca dà al presidente un ruolo istituzionalmente forte e politicamente legittimato dal voto popolare. Caputová non si ripresentava; in ballottaggio, il candidato pro-ucraino Ivan Korcok ha preso il 46% dei voti contro il 54% di Pellegrini.
Seppur a capo di un altro partito (Hlas) causa le alchimie politiche slovacche, Peter Pellegrini era il candidato di Fico. Ne condivide le posizioni sulla guerra russo-ucraina. Il suo primo commento dopo la vittoria, l’impegno a che «la Slovacchia rimanga dalla parte della pace e non da quella della guerra», combacia esattamente con simili parole pronunciate da Fico (e da Orbán).
Il prevedibile affiancarsi di Fico a Orbán, è un grattacapo in più per i futuri Consigli europei, costringerà i leader a più notti bianche di bazar e rinvii, ma non è in grado di far pendere la bilancia dalla parte di Mosca. Fino a che Orbán e Fico restano soli.
Questo il vero problema adombrato dal voto slovacco: lo smottamento di umori e simpatie in Occidente dall’appoggio all’Ucraina a varie versioni di comprensione per le pretese di Putin che hanno per minimo comun denominatore il manto di ricerca della pace sulla pelle di Kiev.
Le vittorie elettorali di Fidesz in Ungheria e di Smer/Hlas in Slovacchia sono la punta dell’iceberg. La massa di ghiaccio sottostante, quella che può affondare il Titanic della resistenza ucraina – legittima difesa ai sensi dell’Articolo 51 della Carta Onu – sono i sentimenti filorussi del Rassemblement National in Francia e di Alternative für Deutschland (AfD), non sconosciuti nella nostra Lega. Le elezioni europee di giugno diranno quanto forti.
Con all’orizzonte il “piano di pace” che avrebbe in animo Donald Trump se rieletto: premiare Putin con un po’ più di territorio ucraino di quello che si è già preso. Territorio arraffato in cambio di pace: come ebbe Hitler a Monaco nel 1938. Con quanta pace si vide dopo.
(da la Stampa)
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