QUANDO ALMIRANTE ANDO’ DA SOLO A RENDERE OMAGGIO AL FERETRO DI BERLIGUER
E PAIETTA QUATTRO ANNI DOPO SI RECO’ ALLA CAMERA ARDENTE DEL LEADER DEL MSI… IL SAPORE ANTICO E PERSO DI UNA POLITICA IN CUI C’ERA IL SENSO DEL RISPETTO
La versione più accreditata rivela che Giorgio Almirante arrivò a piazza Venezia accompagnato dal fido Mario De Girolamo, l’autista di sempre. La Fiat 130 grigia si fermò sul lato della basilica di san Marco. Il segretario del Msi, sceso dall’auto, proseguì a piedi.
Un’altra campana sostiene che il segretario missino sia sgattaiolato dal suo nuovo (allora) ufficio di via della Scrofa senza dire nulla a nessuno. Neppure alla mitica signora Gila, la segretaria che pure tutto sapeva e tutto custodiva.
Comunque, in quella calda giornata di giugno, Almirante si incamminò spedito verso la vicina sede nazionale del Partito comunista italiano.
Enrico Berlinguer era deceduto dopo qualche giorno di agonia.
Davanti al palazzone di via Botteghe Oscure una folla commossa, crescente, si accalcava in silenzio. Attendeva paziente di poter rendere l’ultimo saluto al segretario del partito.
Per questo, probabilmente, pochi fecero caso a quello smilzo signore coi baffetti. Nessuno deve averlo riconosciuto subito.
Anche perchè nessuno avrebbe potuto immaginare quel che stava accadendo. Che cioè il nemico, il più distante e forse il più odiato avversario politico della sinistra comunista potesse trovarsi lì da solo.
Proprio in quel giorno così triste.
Quel che è certo è che Almirante riuscì a mettersi in fila. Posizionandosi in una delle code formate da tutti quei militanti che aspettavano mesti di varcare l’enorme portone del Bottegone.
Certo è che, improvvisamente, un brusio cominciò a levarsi. E che quegli uomini e quelle donne in attesa volsero lo sguardo verso lui, verso quell’uomo distinto e impassibile. Increduli molti. Stupiti.
Quel che accadde dopo è cronaca: l’efficiente servizio d’ordine del Pci di allora, individuato l’ospite inatteso ne diede subito notizia ai dirigenti del partito che stazionavano all’interno.
Qualche minuto e Giancarlo Pajetta fendendo la folla raggiuse Almirante e lo invitò a seguirlo.
Quattro anni dopo, proprio Pajetta guidò la delegazione del Pci che rese omaggio ai feretri di Almirante e Romualdi.
Quel giorno, quel 12 giugno del 1984, il leader del Movimento sociale italiano, il capo dei neofascisti, entrò per la prima ed unica volta nel palazzo della direzione del Pci e chinò la testa dinnanzi al feretro del segretario comunista morto a Padova.
Un gesto forte. Di stima. Verso un avversario giudicato irriducibile, ma leale.
Perchè leali, seppur su opposte barriccate, lo erano stati entrambi.
Come si poteva allora.
Come si poteva in un tempo macchiato da tanto sangue, da tanto dolore.
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