QUANTI ELETTORI PORTA RENZI AL PD? IL 41% VOTA IL LEADER PIU’ CHE IL PARTITO
PRIMA VOTAVANO PIU’ BERSANI CHE PD SOLO IL 20% DEGLI ELETTORI DEMOCRAT
Che quel 40,8% ottenuto dal Pd, alle recenti Europee, sia da ricondurre alla rivoluzione renziana è un fatto persino scontato.
Ma è possibile quantificare la frazione di voti portata in dote dal premier-segretario al proprio partito?
L’interrogativo era circolato al momento della presentazione dei simboli, quando era stata ventilata la possibilità di sfruttare il brand personale sulla scheda elettorale.
Il nome del leader, alla fine, non è stato inserito nel simbolo Pd.
Se ne riparlerà quasi sicuramente alle prossime Politiche, ma è indubbio che il traino dell’uomo arrivato da Firenze abbia contato – e non poco – nel voto europeo.
Consentendo al Pd di rompere gli argini del passato: conquistando segmenti di elettorato in precedenza ostili (su tutti, degli imprenditori), uscendo dal recinto della zona rossa (le regioni dell’Italia centrale dove i partiti di sinistra hanno sempre fatto il pieno).
Da qualche anno, i sondaggi Demos rilevano alcuni indicatori di personalizzazione della scelta elettorale.
La loro evoluzione nel tempo segnala un evidente cambio di stagione.
Un anno e mezzo fa, alla vigilia delle Politiche, solo un terzo degli elettori democratici indicava Renzi come proprio leader preferito.
I mesi successivi sono caratterizzati da una crescita continua del consenso.
Il dato sale al 49% già all’indomani della non-vittoria del 24-25 febbraio 2013.
E arriva presto a superare la maggioranza assoluta: 56%, al momento dell’ingresso a Palazzo Chigi; 62%, prima delle Europee; 70% in seguito all’exploit del 25 maggio.
Si tratta di un evidente segnale di personalizzazione delle preferenze interne, ma che dice poco circa l’effettiva capacità di attrarre un voto personale.
Lo stesso Bersani, da candiato-premier, concentrava su di sè i due terzi delle preferenze democratiche.
Più interessante, in questo senso, è un altro indicatore che cerca di isolare la frazione di voto leader-oriented, chiedendo direttamente agli intervistati di auto-definirsi come elettori “del partito” oppure “del leader”.
A definirsi “bersaniani” prima ancora che “elettori del Pd” erano circa il 20% degli elettori democratici, tra il 2012 e il 2013: un dato inferiore alla media dei principali partiti, poco sotto il 30%.
Con l’avvento di Renzi alla segreteria, la componente orientata al leader raddoppia: sono il 41% coloro che “votano Renzi” piuttosto che sulla base dell’appartenenza al partito.
Con l’effetto di trascinare verso l’alto la media generale (33%).
È l’ennesimo muro a cadere: l’ennesimo tabù – forse il principale – mandato in soffitta dalla cavalcata del leader-rottamatore.
Anche a sinistra, no leader no party.
Fabio Bordignon
(da “La Repubblica“)
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