QUEI 25 MILIONI DI ITALIANI SENZA TUTELE: “E’ ORA DI REDISTRIBUIRE IL WELFARE”
SONO PRECARI, DISOCCUPATI, GIOVANI, IMMIGRATI, PENSIONATI POVERI: UNA MASSA CHE NON HA VOCE… LA POLITICA RENDE PIU’ PROFONDE LE DISEGUAGLIANZE: IL SAGGIO DI UN GIOVANE DOCENTE CALABRESE DI OXFORD
Lia, disoccupata. Fabrizio, precario. Samuele, che non studia e non lavora. Katia, immigrata. E Lucia, che vive con 600 euro al mese di pensione.
Sono loro la maggioranza degli italiani.
La grande maggioranza «invisibile», che conta più di 25 milioni di persone, citando dati Istat stimati al ribasso. E che nonostante questi numeri, non ha voce.
Il sindacato non la rappresenta, anzi. Le politiche pubbliche non la considerano, anzi. Così stranieri e atipici pagano il peso di garanzie e privilegi che coprono sempre meno cittadini. Di certo non loro.
La disuguaglianza non andrebbe più cercata solo tra poveri e ricchi, tra il 99 e l’1 per cento della popolazione.
Ma anche fra i tutelati e non tutelati. Fra chi beneficia del welfare e chi lo produce.
È quello che suggerisce Emanuele Ferragina, docente di al dipartimento di Politiche Sociali dell’università di Oxford e autore di “ La maggioranza invisibile ”, appena uscito per Bur.
«È arrivato il momento di affrontare i veri nemici della sinistra progressista di oggi», commenta il professore trentenne nato a Catanzaro: «Ovvero neoliberisti e garantiti. Ovvero le politiche alla ‘Jobs act’ ma anche le difese dei diritti di pochi portate avanti dai sindacati. I non-tutelati sono altri. Hanno altre richieste. Inascoltate in Italia. Ma già sentite all’estero».
L’attacco ai garantiti, categoria in cui Ferragina mette anche molti pensionati, sembra una provocazione.
Ma il sociologo insiste: «Sarebbe bello confidare sull’uguaglianza al rialzo, chiedere più diritti per tutti senza intaccare quelli di pochi. Ma non è più sostenibile. Le pensioni sopra i 2000 euro non possono essere difese di principio. È assurdo. Se chiediamo una patrimoniale sui grandi patrimoni per redistribuire le ricchezze, che è un’idea giusta, dobbiamo chiedere anche tasse progressive nei confronti di chi in questi anni ha beneficiato troppo del welfare sempre più magro del nostro paese».
Insomma: ha ragione Thomas Piketty nel suo Capitale a chiedere di aggredire le ricchezze finanziarie per dare un argine alla disuguaglianza. Ma non basta.
Nell’Italia del 2014, sostiene Ferragina, bisogna cominciare anche redistribuendo il welfare a favore di quelli che sono i veri ultimi.
Perchè la protezione corazzata a difesa di pochi rischia di far ricadere i costi del sistema sugli altri.
Ferragina lo definisce “neoliberismo selettivo”: «Guardiamo il Jobs Act, che rende tipici, per sempre, i contratti atipici: rende più profondo il solco fra una minoranza sempre più esigua di lavoratori ultra-tutelati e la massa di assunti dopo il 1996, che hanno dovuto rinunciare a ogni garanzia», perchè «le riforme del lavoro dei governi di destra e di sinistra degli ultimi 20 anni hanno seguito la parola chiave della flessibilità . Senza mai introdurre garanzie universali».
Le uniche che servirebbero, secondo Ferragina, alla «maggioranza invisibile». Composta da precari, neet, disoccupati, migranti e pensionati poveri.
Ad accomunarli, spiega: «È il fatto di essere marginalizzati dal welfare. Benchè producano ricchezza per il paese».
Già , ricchezza: anche dal 12,9 per cento di disoccupati (ultimi numeri) e dalle migliaia di anziani con pensioni da fame.
«La ricchezza non è solo il Pil. Queste persone assumono su di sè compiti specifici e spesso ignorati della società . Come quelli della cura. Del tempo da passare coi bambini. Tutta questa è produttività sociale. Non considerata».
Insieme queste categorie riguardano oggi in Italia 25 milioni di persone.
«Sono 20 milioni di voti», aggiunge Ferragina: «Alle ultime elezioni politiche hanno votato circa 34 milioni di cittadini. La potenziale forza d’opinione di questa nuova massa è evidente».
Ma ancora non c’è: frammentata, distratta, sostenuta dagli ultimi risparmi familiari, non si ribella. E non ha voce. «Perchè una cosa è certa: queste persone non sono rappresentate dalla piazza della Cgil di Susanna Camusso e dello sciopero generale».
E torniamo al sindacato.
Perchè non rispecchia le richieste di questa massa di lavoratori atipici, di migranti e di giovani? «Perchè non sostiene l’unica battaglia che potrebbe interessare questa maggioranza: quella per il reddito minimo garantito. Per misure di sostegno universali e non ancorate solo ad alcune categorie».
Cgil, Cisl e Uil, sostiene Ferragina, non possono continuare a urlare “Giù le mani”, per esempio, anche dalle pensioni, perchè «il 50 per cento delle nostre spese per il welfare finisce in pensioni. Spendiamo 45 miliardi solo per quelle sopra la soglia di 2000 euro. Solo imponendo una tassazione progressiva, che parta dall’uno, due per cento per arrivare al 30 per cento di quelle sopra i 9000 euro, avremmo i 10 miliardi di euro che servono per delle garanzie universali. Invece no. Invece anche quelle vanno protette così come sono. Non è disuguaglianza questa?».
C’è un macro-tema, un filo rosso che attraversa tutta la riflessione di Ferragina nel libro. Ed è che il welfare del futuro non potrà più essere fondato sul lavoro, o almeno sul lavoro formale, sulla produzione di beni e merci per il consumo.
«Prima usciamo dall’illusione della piena occupazione meglio è», sostiene l’autore: «Anche perchè quest’illusione ci porta a una gara al ribasso sui salari e i diritti. Il contrario di quello a cui dovremmo aspirare».
A cosa dovrebbero puntare politiche progressiste quindi? A una maggior dipendenza dallo Stato? «No, non c’entra niente. In inglese esiste una differenza semantica che manca in italiano fra work e labour, ovvero fra lavoro in senso lato e lavoro formale con una retribuzione fissa. Dentro questa differenza sta il futuro del mondo in cui viviamo. Un mondo in cui la redistribuzione non potrà più essere legata al labour ma al reddito e alla condivisione di work».
In Italia, però, non c’è nessuno che le dice, queste cose.
Che le porta in Parlamento. «Il Movimento 5 Stelle, votato dai giovani, ha capito l’importanza della battaglia sul reddito minimo garantito. Ma l’ha lasciato una scatola vuota. Non è diventata una proposta dai contenuti chiari: su dove risparmiare, come distribuire quei fondi, a chi garantirli. Renzi l’ha detto in campagna elettorale ma per ora è una questione dimenticata. E per le altre forze semplicemente non esiste».
Non è così in tutta Europa: «In Spagna Podemos è riuscita a intercettare quest’esigenza. E sta portando avanti queste proposte. Partendo da deputati che sono stati precari e atipici e conoscono bene le garanzie che mancano».
Alla maggioranza invisibile. In attesa che diventi una forza anche da noi.
Francesca Sironi
(da “L’Espresso”)
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