RENZI E BERLUSCONI OBBLIGATI A CONVIVERE: DA SOLI DOVE VANNO?
DIETRO LE DICHIARAZIONI BELLICOSE, OLTRE GLI ULTIMATUM, AL DI LA’ DEI PATTI NON RISPETTATI, RESTANO TROPPI FRENI ALL’IDEA DELLE URNE
Dove potrebbe andare Berlusconi e dove mai potrebbe andare lo stesso Renzi? La verità è che nessuno – per interessi diversi – pensa oggi di sfidare la sorte, precipitando verso elezioni politiche anticipate.
Non le vuole il Cavaliere e neanche il premier, «l’unico a sperare che salti tutto è Grillo», dice infatti il vice segretario del Pd, Guerini: «Grillo soltanto, però. Non i grillini che stanno nel Palazzo»
Certo, l’incidente di percorso va sempre messo in conto, ma ai partiti di centrodestra e centrosinistra già basta e avanza la roulette russa del voto europeo, autentico spartiacque in questa fase di transizione, perchè in base al risultato saranno tracciati i confini del futuro sistema politico.
E a meno di non volersi consegnare ai Cinquestelle, sanno di essere condannati a fare insieme le riforme.
D’altronde c’è un’analogia tra l’attuale legislatura e quella passata alla storia come il «Parlamento degli inquisiti», ultimo atto della Prima Repubblica.
Allora le forze del pentapartito erano consapevoli che solo producendo riforme avrebbero potuto sperare di sopravvivere: non si erano mai visti deputati e senatori tanto operosi.
Ma quando il Pds decise di rompere gli indugi, pensando finalmente di conquistare Palazzo Chigi, al voto vinse Berlusconi.
È un precedente da tenere in considerazione.
E adesso che la Seconda Repubblica volge al termine, «solo con le riforme – come dice il coordinatore del Nuovo centrodestra, Quagliariello – si può confidare in una transizione morbida. Altrimenti…».
Perciò non è un caso se – dietro un surplus competitivo dovuto alla campagna elettorale – tanto Berlusconi quanto Renzi non sono interessati alla rottura.
«Vogliamo andare avanti», dice infatti il premier: «Non per durare ma per fare». Certo è piccato per l’atteggiamento del leader di Forza Italia, che però non ha rotto il patto del Nazareno – così si è affrettato a precisare – ma ha chiesto di «rivederne i termini».
E qui si entra nei «dettagli» a cui Renzi si mostra allergico, e che tuttavia fanno parte delle regole del gioco in una trattativa assai complessa.
Di sicuro non sono stati i «costituzionalisti» a far capire a Berlusconi che la riforma del Senato «così com’è non va bene», e che l’Italicum è «incostituzionale»: più semplicemente si è fatto (fare) due conti e ha capito che le due riforme sono per lui a saldo negativo, che soprattutto la legge elettorale «è tagliata su misura per Renzi. Troppo su misura».
E siccome la trattativa per Forza Italia è stata gestita da Verdini, la considerazione del Cavaliere ha fatto di nuovo levare nel movimento azzurro quel venticello sull’affinità elettiva tra il premier e il plenipotenziario forzista, anch’egli fiorentino, che avrebbe esortato il suo leader a non spezzare il filo – come fece a suo tempo con D’Alema e Veltroni – per non perdere di credibilità .
Di sicuro c’è che Berlusconi si sente ed è incastrato: se rompesse sulle riforme, romperebbe con una parte consistente dei suoi elettori (che le vuole) e con una parte altrettanto consistente del suo partito (che non vuole le elezioni).
Per certi versi anche Renzi è incastrato: la minaccia delle urne infatti è un’arma scarica, siccome l’Italicum – che ancora non è nemmeno legge – è inservibile perchè è stata pensata per una sola Camera, e il Consultellum lo costringerebbe quasi certamente dopo il voto alle larghe intese. Eppoi, come ai tempi del «Parlamento degli inquisiti», deputati e senatori faranno di tutto pur di non venire rottamati in anticipo.
Ma la sortita del Cavaliere non ha solo infiammato la campagna elettorale, ha anche prodotto un paradosso politico, perchè – come sostiene Quagliariello – «con la sua nuova posizione, che è strumentale e in quanto tale inaccettabile, sui contenuti delle riforme Berlusconi si è portato sulle nostre posizioni».
Che il Senato non possa trasformarsi in un «dopolavoro» l’aveva già detto proprio il coordinatore del Nuovo centrodestra, e fin dall’approvazione alla Camera il suo partito aveva chiesto di «modificare l’Italicum».
Si vedrà come si svilupperà la trattativa, quale tattica e quale tempistica adotterà Renzi, che nel suo partito incontra ancora forti resistenze ed è deciso a superare l’impasse con un passaggio ai gruppi parlamentari e in direzione.
Non c’è dubbio però che i protagonisti delle riforme non vogliono e non possono rompere.
La difficoltà di un’intesa non è dettata dalla vicinanza delle elezioni, sta piuttosto nel fatto che non si conosce l’esito delle elezioni.
Perchè i futuri rapporti di forza avranno un peso determinante nella conclusione della vertenza. Cosa accadrebbe, per esempio, se uno dei contraenti il patto dovesse fare crac?
Francesco Verderami
(da “il Corriere della Sera“)
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