“RESPIRA? SI’ E’ VIVO”: ABDOU, 21 GIORNI SALVATO DALLA OCEAN VIKING
A BORDO DELLA ONG DEI PATRIOTI EUROPEI, LA NOTTE DEL PRIMO SOCCORSO IN MARE
Da Bordo della Ocean Viking
La prima cosa è il nero. Una cappa, una glassa che si stende sul mare, si incolla all’orizzonte e cancella ogni punto di riferimento. Poi arriva l’odore. Di paura, benzina, umanità pressata, disperazione.
Ci si sbatte contro come se fosse un muro, ma subito diventa colla, si aggrappa alla pelle e alla gola, ritorna dopo ore e non bastano una, dieci, cento docce. Ritorna su ancora e ancora. Con lui, l’eco delle grida.
Un naufragio è inferno stampato su mare e quando si accendono le luci dei gommoni di salvataggio, negli occhi di chi si gioca la vita sul Mediterraneo c’è tutta la disperazione dei dannati. Il disinteresse dell’Unione Europea, con l’Italia pronta a mettere a punto l’ennesimo codice di condotta che imbriglia le navi di soccorso, ha deciso la loro pena: rischiare la vita pur di poter declinare i verbi al futuro. Ma loro non lo sanno, possono solo scontarla giocandosi tutto in un’unica traversata.
Non si dorme
Nella notte fra il 26 e il 27 dicembre sulla Ocean Viking non si dorme. Non c’è risacca di cenoni e bagordi, non c’è la pigrizia delle feste. La nave di Sos Méditerranée è da qualche ora nella Sar – la zona di salvataggio – al confine fra Malta e Libia, da qualche giorno sulla sponda sud il tempo è tornato bello dopo settimane di tempesta. “Prepariamoci”, dice Caterina, medico di bordo con alle spalle anni di missione, che inutilmente prova ad andare a dormire qualche ora. Si sa che sono ricominciate le partenze, anche Alarm phone ha fatto sapere che sul mare ondeggiano dei gommoni. Uno lo si comincia a cercare già dal tardo pomeriggio. Invano. “Attorno alle 4.30 – è l’ordine che a tarda sera arriva dal ponte di comando – dovremmo intercettare il target, tutti svegli e con tute e giubbotti addosso”. Ma è tutto l’equipaggio che si mette in moto. Il deck è illuminato a giorno, la clinica sul ponte pronta. A bordo le onnipresenti radio gracchiano sui canali dell’emergenza. Sono da poco passate le due e mezza quando scatta l’allarme. C’è un altro gommone in pericolo ed è vicino. Tuta, giubbotto, elmetto. Con la fretta ancor di più.
Si parla poco
“Preparatevi, prendete un caffè e mangiate qualcosa. Non si sa mai quanto durerà”, consiglia Claire. Si parla poco, qualcuno prova a stemperare la tensione. Lucia, ostetrica del team medico alla prima missione, è pallida come un cencio, tesa. “Sono pronta, non so come reagirò dopo, ma sono pronta”, ripete. Stridono gli argani che lanciano a mare i tre rhib. In pochi minuti sono in acqua. Si cerca il gommone, lo si intuisce dietro una lucina. Si sa che a bordo ci sono centinaia di persone. Molti sono bambini. “Mi sembrava quasi fosse solo un fagotto di vestiti”, dice Tanguy quando il soccorso è concluso e i rhib sono agganciati agli argani. Quello che sembrava un pacchetto di stracci era un bebè di appena tre settimane. Immobile. “Ma respira? Non capisco”. E tocca scavare fra gli stracci che porta addosso per capire che quel corpicino è ancora in vita. Lo chiameremo Abdou, ma è un nome di fantasia. “Sì tutto ok”, dice Justine.
Bimbi zuppi e terrorizzati
Dopo di lui ne arriva un altro di tre mesi, poi uno di un anno appena, e ancora altri. Tutti zuppi, tutti terrorizzati. Una bimba, treccine e maglione rosa, trema e piange senza sosta fin quando un adulto non la prende in braccio. Dodici ore dopo sul ponte di Ocean Viking gioca a nascondersi tra le gambe della mamma. Il bebè più piccolo è in braccio al fratellino, con viso da monello che ha cancellato le lacrime di ieri. Sul volto di alcuni degli adulti scorrono quelle di felicità. “Addio Libia, addio Libia”, cantano, improvvisando una danza. “Credevo che non saremmo arrivati mai, che saremmo morti lì in mezzo”, dice Moussa, un ragazzo di neanche vent’anni che sogna di raggiungere un cugino in Germania. Una donna invece stringe le braccia attorno a quel bambino che porta in grembo e temeva di aver perso. Sono centotredici, se non fosse arrivata la Ocean Viking forse non ci sarebbero più.
Quattro giorni e si arriva in Italia
Sara, responsabile della Croce rossa a bordo, Ahmed e Mosley, i mediatori culturali, hanno appena comunicato a tutti che fra quattro giorni si arriverà in Italia. L’indicazione di porto sicuro, in passato negata a Ocean Viking per settimane tanto da costringerla chiedere approdo a Tolone, è arrivata ancor prima che venisse richiesto. “Per tutte queste persone – spiega Alessandro Porro – è sicuramente meglio, però non possiamo dimenticare che ci ancora sono partenze, che la Guardia costiera libica sta intercettando e riportando indietro tantissime persone. Sentiamo sul canale raradio 16, quello delle emergenze, che ci sono vari pescherecci che segnalano barche in difficoltà. Sottrarre un mezzo di soccorso, vuol dire lasciare sguarnita un’area potenzialmente pericolosa”. Da Roma hanno ordinato a Ocean Viking prima di andare a La Spezia, qualche ora dopo a Marina di Ravenna. C’è una strategia? “Il primo porto è a 650 miglia di distanza, il secondo a 913 miglia di navigazione. Ogni giorno di navigazione necessita di dieci tonnellate di carburante, c’è da andare e da tornare”. Ma si farà. E sulla rotta se ci saranno imbarcazioni in difficoltà, la vita umana – come da legge del mare – avrà la priorità.
(da La Repubblica)
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