ROGNONI E IL BIGLIETTINO DELL’ “UOMO DI MATTEOLI”: CAPII, LA GARA ERA TRUCCATA
IL RACCONTO AI PM DELL’EX DIRETTORE DI INFRASTRUTTURE LOMBARDE: “ME LO PORTO’ IL FIGLIO DI ERASMO CINQUE, GRAZIE A LUI PARLAVO CON MATTEOLI”
Finora, di quel misterioso bigliettino portato per conto dell’impresa Mantovani da non si sa bene chi il 10 luglio 2012 all’allora direttore generale di «Infrastrutture Lombarde» Antonio Rognoni, 5 giorni prima dell’apertura delle buste e dell’assegnazione a Mantovani per 198 milioni del più importante appalto di Expo 2015 (la «piastra») in virtù di un ribasso addirittura del 41%, si sapeva solo quel poco che una intercettazione aveva captato in un successivo commento di Rognoni: e cioè che c’era scritto «sappiamo che siamo andati bene sulla parte qualitativa», messaggio con il quale la cordata Mantovani puntava a stoppare ostruzionismi pro-altri concorrenti (come Impregilo o Pizzarotti) mostrando di disporre di illecite informazioni di prima mano sull’andamento dei supersegreti (in teoria) punteggi della gara.
Ma lo scorso 3 aprile, 13 giorni giorni dopo il proprio arresto per turbativa d’asta su tutt’altri appalti (i servizi legali a un giro di avvocati fissi), si scopre ora (al deposito degli atti nel rito immediato fissato l’altro ieri per il 18 settembre) che Rognoni, prima di smettere giovedì scorso di collaborare adducendo come motivo l’assenza di un interlocutore in Procura a causa dello scontro tra il capo Bruti Liberati e l’aggiunto Robledo, aveva iniziato a raccontare qualcosa proprio sulla «piastra».
E su quel bigliettino.
A cominciare dal primo colpo di scena su chi glielo portò: «Ottaviano Cinque, il figlio del proprietario della Socostramo, Erasmo Cinque».
Socostramo è una ditta del costruttore romano che aveva una quota nella cordata Mantovani per Expo e che, aggiunge Rognoni, «aveva una partecipazione, anche se non rilevante, nel Mose di Venezia realizzato dalla Mantovani».
E a Venezia nell’inchiesta sul Mose emersa con 35 arresti il 4 giugno, cioè due mesi dopo l’interrogatorio di Rognoni, il Tribunale dei Ministri sta valutando l’autorizzazione a procedere chiesta della Procura a carico dell’ex ministro pdl delle Infrastrutture, Altero Matteoli, per l’assegnazione di lavori al Consorzio Venezia Nuova in cambio dell’inclusione proprio della Socostramo di Cinque.
Ma soprattutto è illuminante la spiegazione che Rognoni offre del proprio pregresso rapporto con Cinque: «La premessa è che io, quando avevo Matteoli come Ministro delle Infrastrutture e Trasporti e lavoravo per la realizzazione delle autostrade praticamente in modo settimanale con il Ministero, sono stato seguito nelle richieste che io facevo al Ministero, e in particolare al Ministro, da questo Erasmo Cinque». Come mai? «Perchè lui era il segretario, era il sottosegretario di Matteoli». L’espressione lascia perplesso il pm, che chiede lumi: Erasmo Cinque era nella struttura di Matteoli?
«Sì, sì. Lui a tutti gli effetti faceva anche un’attività per la quale dimostrava in modo inequivocabile il fatto di poter accedere al Ministro in modo… Suo figlio Ottaviano, che invece non stimavo, mi diceva “ti vengo a trovare”, ma con una frequenza veramente abbastanza limitata, una volta al mese…gli offrivo il caffè. Non ha mai lavorato per me la Socostramo…».
Anche perchè non esiste di fatto, punge il pm. «Ma infatti non valeva niente – concorda Rognoni -. E non mi dava nessuna affidabilità imprenditoriale neanche la persona, no? Solo avevo la necessità di poter interloquire con il Ministero delle Infrastrutture e quindi mi avvalevo…».
Pm: «Doveva passare da questo qua». Rognoni: «Il padre era uno diverso, insomma, molto politico, molto aderente ad Alleanza nazionale, però voglio dire alla fine le nostre cose le faceva».
Fatto sta che, dopo un’iniziale confusione su un imprecisato «vicepresidente della Mantovani», Rognoni si ricorda meglio che fu Ottaviano Cinque «che mi dà questo bigliettino nel quale mi dice: “A noi risulta di essere andati molto bene sulla parte tecnica”.
E io cado dalla sedia. La cosa che mi preoccupò fu che, siccome era effettivamente così, significa che c’è qualcuno della Commissione di Expo (che non sono io, mai occupatomi della gara) che si permette di fare una cosa illegittima», cioè che aveva rivelato notizie sensibilissime e tali da turbare la gara d’appalto.
«Allora – dice Rognoni d’aver pensato – delle due l’una: o io butto il bigliettino e dico “guarda, io di questa roba non ne voglio sapere”. Oppure, al contrario, avrei dovuto prendere e denunciare il tutto». Fa la cosa sbagliata: la prima.
Nonostante avesse «a quel punto capito che c’era qualcuno che addirittura aveva avuto la responsabilità di informare» Cinque e la Mantovani «di come stava andando la gara, una cosa di una gravità assoluta».
Rognoni nega che all’epoca tentasse di spingere Impregilo a scapito di Mantovani, magari su input dell’allora governatore lombardo Formigoni: «Io non avevo nessun interesse nei confronti di Impregilo» e «nessuno mi diede mai indicazioni, nè su Mantovani nè su Impregilo nè su Pizzarotti», anche se a suo avviso «Impregilo o Pizzarotti erano imprese dotate di quella capacità finanziaria di avere 20 o 30 milioni di cassa e in grado di poter anticipare il pagamento dei subappaltatori in attesa dei pagamenti».
E se «tutti dicevano che io ce l’avevo a morte con Mantovani, assolutamente non è vero, perchè negli anni successivi ho lavorato tranquillamente».
Invece per Rognoni un’altra cosa sarebbe successa: «Io ero certo che Mantovani», dopo aver preso l’appalto con il ribasso del 41%, «avrebbe realizzato un’opera nella quale, il giorno dopo che si iniziava a lavorare l’obiettivo, era quello di recuperare dei costi. E questo era una costruzione malata di per sè. Ma è mai possibile che, se io faccio una gara da 270 milioni, arriva il Mago Zurlì che dice che si può fare a 140 e va bene a tutti?».
Anche perchè, aggiunge Rognoni, era già successo con un’altra impresa: «Avevano già in Expo stabilito che una gara da 110 milioni, fatta al massimo ribasso e acquisita da Cmc a 60 invece che a 110, aveva avuto la prima variante già da 35 milioni…», più di metà dell’intero contratto: «Ma queste sono degenerazioni, sono cose che non possono essere alla base di una buona procedura pubblica».
Luigi Ferrarella
(da “il Corriere della Sera”)
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