ROSEMARY’S BABY
IL NUOVO LIBRO DI GIULIANO LA PROSTATA
Nei giorni di Natale e Santo Stefano, un po’ in tutta Italia, dinanzi alle librerie chiuse per ferie, si notavano scene piuttosto insolite per questi tempi di crisi.
Un fenomeno che non si registrava dall’uscita dell’ultimo nato della saga di Harry Potter: folle di lettori in astinenza accalcati dinanzi alle vetrine sbarrate ne reclamavano l’apertura il dì di festa, smaniosi di accaparrarsi l’annunciato best-seller di Giuliano Ferrara su Matteo Renzi.
In certi luoghi, a causa delle intemperanze della massa sgomitante, è dovuta intervenire la forza pubblica con gli idranti e gli sfollagente.
In altri è stato sufficiente l’arrivo di un commesso per disperdere i fans dell’Elefantino e convincerli a ripresentarsi ai primi di gennaio, quando finalmente l’appetitoso best-seller sarà sugli scaffali.
Certo, ogni giorno che passa cresce febbrile l’attesa per quello che si annuncia come l’appuntamento letterario dell’anno, anzi del decennio, complice il comunicato che l’editore Rizzoli ha diramato con anticipo forse eccessivo: “Il decano dei giornalisti scomodi per la prima volta in libreria. Una requisitoria pubblica e una confessione privata che farà discutere tutti, irritare molti. Un ritratto folgorante dell’uomo che sta rivoluzionando l’Italia, il vero erede del cavaliere che fu”.
La “requisitoria”, a dispetto dell’apparenza di arringa, s’annuncia feroce quant’altre mai fin dal titolo: The Royal Baby.
E il “decano dei giornalisti scomodi”, per chi non lo sapesse, è Giuliano La Prostata: uno che, quando gli scappa, gli scappa.
Non c’è potente d’Italia — ma che dico d’Italia, mi voglio rovinare: d’Europa, del mondo, della galassia — che non abbia assaggiato la sua penna corrosiva, urticante, intinta nel vetriolo.
“Mi piacerebbe — annuncia il noto fustigatore, per metterci l’acquolina in bocca — che la finissero di attribuirsi premi e prestigio, i soliti noti che pullulano nelle pieghe dell’immobilismo italiano. Bisogna togliergli l’Italia, dice Matteo Renzi.
Ha ragione, mi dico”. E giù botte da orbi ai “gufi e rosiconi” che si frappongono alle magnifiche sorti e progressive del renzusconismo trionfante.
“Come un abile delfino del Cavaliere — aggiunge Ferrara, scomodo come non mai — Renzi sta trasformando la lingua e la politica di un’Italia che fatica a tenergli il passo”. Ecco: soprattutto la lingua, soprattutto quella di Ferrara, che non risponde più ai comandi, vive di vita propria e lecca a doppio pennello: le son cresciute pure le extension.
“Volete che un vecchio e intemerato berlusconiano pop come me non s’innamori del boy scout della provvidenza?”. Ma no che non vogliamo: alla lingua non si comanda. Tantopiù che “il catalogo dei suoi avversari (del Royal Baby, ndr) inizia ad assomigliare in modo impressionante a quello di Berlusconi: i poteri forti e i salotti buoni, Confindustria e i sindacati, l’Europa e i manettari”.
Chi ricorda le nozze dell’amico Carrai con Matteo testimone sa bene che i poteri forti sono tutti contro.
Chi raffronta il Jobs Act col documento di Confindustria sul lavoro (identici) ben comprende che pure Squinzi rema contro.
Un assedio. Si sentiva il bisogno di quella che Rizzoli definisce “provocazione all’establishment nostrano”, a cui La Prostata aggiunge “il suo stile inimitabile”.
Ergo “largo ai giovani e bando ai tromboni”. Pancia in dentro e petto in fuori.
È Matteo che traccia il solco, ma è Ferrara che lo difende.
Però in modo scomodo. Per informazioni rivolgersi ai precedenti oggetti degli innamoramenti ferrariani: Pci, Craxi, Berlusconi, Previti, Squillante, D’Alema (con Bicamerale incorporata), Dell’Utri, Blair, Bush jr., Sarah Palin, Rutelli, Michela Vittoria Brambilla, Veltroni, Fini, Monti, Letta jr.
Tutti venuti prematuramente a mancare all’affetto dei propri cari.
In questo consiste la scomodità di Giuliano La Prostata: appena ti bacia, sei morto.
Più che Royal Baby, pare il sequel di Rosemary’s Baby.
Ci sia dunque permesso un estremo appello alla Rizzoli: fermate le rotative. Per quanti errori abbia commesso, Renzi non merita questo.
È ancora così giovane.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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